Mickey occhi blu (Mickey Blue Eyes)
Kelly Makin – USA 19991h 43’

da La Repubblica (Roberto Nepoti)

Banditore in una casa d'arte di New York, l'inglese Michael Felgate (Hugh Grant) propone a Gina (Jeanne Tripplehorn), l'insegnante di cui è innamorato, di sposarlo. Lei rifiuta, lui non capisce perché: ignora, il tapino, che la ragazza è figlia del boss di mafia Frank (James Caan). Poiché i due si amano, le cose vanno avanti. Così l'inglesino si trova coinvolto in pericolosi affari di famiglia, tra riciclaggio di denaro, omicidi, cadaveri scomparsi, indagini di polizia. Finché il padrino Vito (Burt Young) giura di ammazzarlo, proprio durante la festa di nozze. Mickey occhi blu è una ulteriore variazione sul tema del cinema mafioso, corredata di tutto quel che ci si può aspettare, canzoni di Martin-Sinatra comprese. E la commedia di Kelly Makin non è da buttare per almeno due motivi. Il primo è Hugh, Grant che trova alcuni momenti divertenti: quando vuole documentarsi sulla mafia, ad esempio, noleggiando in videoteca i film di Scorsese e di Coppola; o quando, british com'è, cerca di spacciarsi per un killer siciliano. Buono anche il cast di supporto, benché così specializzato in personaggi mafiosi da risultare un po' usurato: Caan che fa l'autoparodia nel Padrino, Burt Young e Joe Viterelli, praticamente fotocopia di se stessi film dopo film. Quel che vale veramente la visita, però, è un nutrito cast di caratteristi in piccoli ruoli esilaranti: tante piccole schegge di umorismo che riscattano il film dalle situazioni risapute e dal prevedibilissimo happy-end.

da L'Unità (Michele Anselmi)

«Mickey Blue Eyes» in realtà non esiste. Ma il nomignolo suona così bene da permettere all'imbranato Hugh Grant di tirarsi fuori da una situazione imbarazzante passando per un mitico gangster di Chicago in trasferta a New York: appunto Mickey dagli occhi blu. Commedia d'ambiente mafioso, come tante se ne sono fatte negli ultimi anni da L'onore dei Prizzi in poi, Mickey Occhi Blu intreccia farsa e omicidi, parodia di Quei bravi ragazzi e tormenti sentimentali con l'unico intento di far sorridere. Ed effettivamente ci riesce. Capelli vaporosi, parlata forbita che si perde un po' nel doppiaggio, abiti eleganti, bicicletta in corridoio ed eterno sbatter d'occhi, Hugh Grant (qui pure produttore con la moglie) è l'«inglesissimo» Michael Felgate, abile banditore d'aste della prestigiosa casa Cromwell. La sua vita newyorkese scorre tranquilla, ma il giovanotto ha la pessima idea di chiedere alla fidanzata italo-americana Gina Vitale (Jeanne Tripplehorn) di sposarlo. Alla proposta lei scappa in lacrime, temendo il peggio. A ragione, perché non si sfugge alle leggi della mafia: ancora prima di accorgertene sei già dentro gli affari «di famiglia». Il film, diretto da Kelly Makin e bombardato dai soliti hit canori di Louis Prima (ma c'è anche Paolo Conte) è prevedibilmente divertente nell'aggiornare in chiave comica il bagaglio di battute e atteggiamenti di certo cinema nato sulle ceneri del Padrino. Succedeva con effetti più divertenti anche nel cinefilo Ghost Dog di Jarmusch, ma chi ama il genere si accomodi: specie quando è in campo Joe Viterelli, l'italo-americano più gettonato di Hollywood. Quando James Caan, nei panni dell'imbarazzato padre Frank Vitale al quale comandano di uccidere l'inglese perché avrebbe fatto uno sgarbo alla Famiglia, sgrana la fatidica frase «È una di quelle solite storie d'onore: una vita per una vita», il pubblico capisce che qualcosa bolla in pentola: magari una lambiccata messa in scena che, come le scatole cinesi, ne contiene un'altra a sorpresa. In bilico tra il giovane Cary Grant e il giovane James Stewart (del primo possiede l'eleganza british, del secondo il perenne stupore), Hugh Grant si concede anche un'ironica strizzatina d'occhio a Quattro matrimoni e un funerale, tanto per ribadire che è un po' sempre la stessa pappa; ma l'intreccio è ben architettato, due o tre momenti sono davvero spassosi (specie il confronto con il boss afono) e il riapparire della parola «The End» nel finale suona amabilmente démodé.

 

da Il Resto del Carlino (Paola Cristalli)

Commedia d'amore e di mafia italoamericana con tutti gli stereotipi in fila, dunque chi trova il genere inopportuno può astenersi: però, pur senza nessun, tocco speciale o scatto inventivo, Mickey occhi blu non è affatto male... Tra un incidente e un equivoco la storia precede prevedibile, ma anche piuttosto esilarante; la galleria dei comprimari mafiosi è tutta di repertorio (c'è pure l'ineffabile faccione di Joe Viterelli, uscito da Terapia e pallottole senza nemmeno cambiarsi d'abito); la musica tripudia degli inevitabili Frank Sinatra, Luis Prima e Mambo italiano. Di sicuramente buono c'è Hugh Grant (pare anche che lui e la fidanzata produttrice Liz Hurley abbiano sottratto parte del lavoro al regista). Rovistando con abile eleganza tra le memorie del cinema, s'è costruito quel suo personale sottotono di humour e sex-appeal che deve qualcosa al primo Cary Grant e, qui, anche al Danny Kaye di Venere e il professore: e sta dimostrando che un suo speciale touch per la commedia lo possiede senz'altro.

scheda CGS aprile 2000
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Don BOSCO]