I miei giorni più belli è al tempo stesso un prequel e un sequel di Comment je me suis disputé ... (ma vie sexuelle) (1996). Ritroviamo Matthieu Amalric nel ruolo di Paul. Con vent'anni di più sul viso. Perfetto per il sequel. Scopriamo due bravissimi nuovi attori: Quentin Dolmaire e Lou Roy-Lecollinet, nelle parti rispettivamente del giovane Paul e della giovane Esther. È la loro fragilità e bellezza a dare corpo e sensualità al viso segnato del vecchio Paul. Questa logica, per cui quello che viene dopo sembra più originale rispetto a quello che lo precede, è l'architettura di tutto il cinema di Desplechin; che non si basa mai sull'azione (nel senso del dramma) ma sempre sulla riflessione, autoanalisi, memoria. È la memoria che dà la forma al suo cinema e che spinge la storia a risalire la corrente della vita in cerca della foce di tutte angosce. Ne esce fuori una materia singolare, privata e cinematografica al contempo. |
Eugenio Renzi - Il Manifesto |
Estate, stagione di capolavori. A volte è quando i cinema si svuotano che gli schermi accolgono le immagini più originali, le storie più folli, i registi più inclassificabili. Quest'anno (...) tocca a Desplechin (...), autore di una decina di film che mescolano gioiosamente invenzione e autobiografia, dramma e commedia, splendore e bizzarria (...). Incorniciati da un prologo e da un epilogo in cui Dedalus adulto ha i tratti sardonici di Amalric, questi tre ricordi corrispondono a un'infanzia ribelle (...); a un'adolescenza errabonda (...); infine a una giovinezza avventurosa, in senso sentimentale, che occupa la maggior parte del film. E coincide col grande amore per Esther (...), magnifica figura di ingenua sfrontata, vulnerabile quanto pericolosa, deliziosa anche se lontana dagli odiosi canoni della bellezza codificata, con cui Dedalus intreccia una delle più intense, imprevedibili storie d'amore viste al cinema da anni. (...) non c'è dialogo, scena o immagine che non sorprenda per originalità e insieme verità. Come in quei grandi romanzi capaci di inventare quella vita tumultuosa che tutti avremmo voluto, e insieme di renderla così vicina alle nostre da farci ritrovare qualcosa di familiare in ogni passaggio. Il tutto anche grazie a un cast di giovanissimi sconosciuti e folgoranti. (...) Questa vita spesa tra Parigi e Roubaix, i deserti del Tagikistan e i caffè del Quartiere latino, è una meraviglia di inventiva e di libertà, personale e narrativa. Testimonianza di una cultura sempre più minoritaria, dunque preziosa. |
Fabio Ferzetti - Il Messaggero |
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Paul Daedalus lascia la sua terra, il Tagikistan. Con sé porterà i ricordi legati alla sua infanzia a Roubaix, alla follia della madre, al fratello Ivan, ai suoi sedici anni, a suo padre - vedovo inconsolabile -, al viaggio in URSS dove è stato costretto a vivere clandestinamente, ai suoi studi a Parigi e all'incontro con il Dottor Behanzin, da cui è nata la passione per l'antropologia e la filosofia. Ma soprattutto, Paul ricorda Esther, l'amore della sua vita... Desplechin, ‘specialista' in ritratti intimi e familiari torna a raccontare l'esistenza dell'anti eroe Dédalus che già lo aveva appassionato in un suo film del 1996 e, naturalmente, torna a rielaborare con personalità le intuizioni letterarie sulla Memoria (da Proust e da Joyce). |