Marcello Mastroianni - Mi ricordo, sì io mi ricordo
[documentario] di Anna Maria Tatò - Italia 1997 - 3h 30' (versione integrale)

  

La verve documentarista del Festival ha trovato nuovo, corposo spazio con il tributo a Mastroianni di Anna Maria Tatò. Il suo Marcello Mastroianni - Mi ricordo, sì io mi ricordo è stato presentato nella versione di oltre tre ore (a Cannes e nelle sale italiane è circolata la copia ridotta a due ore circa) e l'impatto, nella cornice di una Mostra all'insegna del grande attore, è stato senz'altro positivo.
D'altronde il film ha il tono cordiale di un'interminabile intervista in cui Mastroianni ama raccontare e raccontarsi per un piacere rievocativo non solo aneddotico ma di vera ricomposizione di un'esistenza tutta cinematografica. Egli stesso si domanda se mai gli sia stata proprio una vita vera, al di fuori di quella realtà cinematografica che ha permeato tutto il suo vivere. Di riflesso sin da bambino, quando si immergeva nel buio della sala per assistere alle doppie proiezioni dei suoi divi preferiti. La prima sequenza di repertorio è così per
Carioca (il mito del musical si riaffaccerà nella citazione di Ginger e Fred e dello spettacolo Ciao Rudy), per ricordare come il cinema fosse in quegli anni un sogno generazionale che si coniugava con le occasioni, in quel di Roma, per toccare con mano il magico mondo del cinematografo. Il primo aneddoto è per l'esordio come comparsa (insieme alla madre), per le iterate lettere di raccomandazione (senza esito) presentate da giovanissimo a De Sica, ma l'emozione del ricordo per le prime significative interpretazioni va a Domenica d'agosto (Luciano Emmer) e ai lavori con Monicelli: Vita da cani, Padri e figli, I compagni.
Ma al di là dello scorrere cronologico di una carriera zeppa di titoli (oltre 150) e di successi (almeno il 70%?), la piacevole sorpresa per il pubblico è l'affabile saggezza che Marcello esibisce, con pudore, mentre commenta il suo vissuto. Nel mettere a confronto l'esperienza teatrale e cinematografica parla con nostalgia dell'impegno a tutto corpo dell'attore sul palcoscenico, della severità dell'impianto teatrale in confronto a quello del cinema, fatto di stravaganza, approssimazione, confusione. Discutendo di lavoro e professionalità ribadisce la sua perplessità sulla sofferenza strasgberiana di entrare e uscire dal personaggio, lui invece sempre divertito nel suo lavoro di interprete: "E' un mestiere meraviglioso, ti pagano per giocare e tutti ti battono le mani... Se sei bravo almeno un po'". Di fronte alle immagini di una delle tante premiazioni esterna i suoi dubbi sulla tempestività dei riconoscimenti assegnati ("Va a sapere quando fummo veramente dei bravi bugiardi"), sbotta contro l'eccessiva campagna anti-fumo in America mentre aspira una delle sue cinquanta sigarette giornaliere ("fa proprio male!"), ribadisce il suo imbarazzo di fronte alla sua perpetuata immagine di latin-lover ("accettai i ruoli di
Il bell'Antonio, in cui ero un impotente, e quello di Una giornata particolare, in cui interpretavo un omosessuale, anche per sfatare questo luogo comune") e si lascia andare, con lievità, a riflessioni sulla vecchiaia e sulla memoria ("i ricordi sono una specie di punto di arrivo"), sulla morte ("vorrei solo poter scegliere il tempo").
Pochi sono gli accenni alla vita privata: le uniche dichiarazioni d'amore sono per Roma e Parigi (nonché per Napoli) mentre di Catherine Denevue abbiamo solo una fugace apparizione in
Non toccare la donna bianca di Marco Ferreri. Ci sono parole d'affetto per Fellini (scorrono alcune sequenze dei provini de Il viaggio di G. Mastorna) e, ovviamente, tanti aneddoti. Su tutti quello relativo ai suoi genitori. Il padre era sordo, la madre ci vedeva poco. Al cinema uno chiedeva "che ha detto?" e l'altra, di rimando, "che ha fatto?". Davvero come dice Marcello "una scena da cinematografo".

e.l. Il Mattino di Padova 30/8/97