La moglie del poliziotto (Die Frau des Polizisten)
Philip Gröning Germania 2013 - 2h 55'


Premio speciale dela Giuria


 

   Lei è una casalinga, lui un agente di polizia, la figlioletta, piccola, va all’asilo. Sembra una famiglia perfetta, in una città perfetta, in un paese perfetto: la Germania dei nostri giorni. I due genitori si amano, la piccola sembra serena, finché non compaiono in lei delle piccole angosce: la notte il sonno non arriva, il papà si arrabbia, la mamma sembra turbata.
È raro vedere film tanto incentrati sulla superficie del corpo quanto
The Police Officer’s Wife. La scommessa di Philip Gröning è però duplice: da un lato, le immagini in movimento ci mostrano ciò che questi corpi fanno, cercando di definire, superficialmente, i caratteri dei personaggi. Ma la narrazione, non convenzionale, non si esaurisce qui: perché la regia suddivide il racconto in 59 capitoli, separati da lunghe (o lunghissime) dissolvenze al nero. Durante quei quadri oscuri, lo spettatore ha la possibilità di tuffarsi, con tutta calma, all’interno delle superfici dei corpi, tentando di dare un senso compiuto alle azioni che ha visto compiersi, così come alle parole che ha ascoltato. La regia non si preoccupa di decifrare: sta allo spettatore, mai come in questo film, completare ciò che ha visto, secondo una tesi tipica di quella psicologia comportamentista che riterrebbe la mente una scatola nera indecifrabile. È proprio lo spettatore che finisce con l’interiorizzare, in questo modo, ciò che vede, lasciandosi andare ad una narrazione che, in quasi centottanta minuti di durata, trasporta all’interno di un mondo in cui le parole possono solo sminuire la sofferenza indicibile di una tragedia quotidiana: sul corpo della moglie del poliziotto cominciano a comparire dei segni che sembrano lividi, prima di sfuggita, poi sempre più numerosi. Forse, ci chiediamo, la famiglia non è così perfetta? Ed è davvero unita? Cosa significano le parole "perfetto" e "unito"? Ed il poliziotto è davvero così insensibile alle immagini di quotidiano orrore che si ritrova davanti, o le trasforma dentro di sé in qualcos’altro?
Sembra così semplice,
The Police Officer’s Wife, ma è in realtà frutto di una costruzione talmente cesellata e stratificata (del resto, otto anni lo separano dal film precedente di Gröning, Il grande silenzio) che è facilissimo impoverirne il significato, non riconducibile, sicuramente, ad un rigido determinismo. Forse è soprattutto un film che parla di quella parte oscura che è dentro di noi, e lo fa essenzialmente basandosi sulla forza di immagini drammaticamente criptiche, nel loro contenere misteri che forse non saranno mai svelati. Come quella lugubre figura di vecchio, anziano e solo, a cui sono dedicati alcuni capitoli enigmatici del film, e che si muove in una vita squallida, in un tempo lontanissimo, portando dentro di sé tutto il peso di una vita infelice senza un perché.
Il Premio Speciale della Giuria assegnato a Venezia al film testimonia che l’esperimento emotivo di Gröning comunica, disturba ed emoziona in un modo non convenzionale, quanto necessario.

Pietro Liberati - gennaio 2013 - pubblicato su MCmagazine 35