Nirvana
Gabriele Salvatores - Italia 1996

    Benvenuto il successo per il cinema italiano. Mentre Il ciclone continua a spopolare (oltre cinquemila spettatori nello scorso week-end cittadino) Nirvana arriva a rinsaldare l'attuale predominio del prodotto Cecchi Gori. Accompagnato da un battage pubblicitario insinuante, il nuovo film di film precedente in archivio Gabriele Salvatores film successivo in archivio "naviga" nella fantascienza con una sorprendente sfrontatezza autoriale, teso a costruire un mosaico di iper-realtà futuribile che amalgami periferie multietniche, tecnomonopòli del piacere, sconcerti sentimentali e virtuali. Tutto premeditato per mettere in fibrillazione l'immaginario cinematografico: siamo nel 2005, in un non ben definito "agglomerato del Nord" dove il degrado urbano è iperbolico e un pulviscolo nevoso avvolge "magicamente" storia e personaggi. Jimi (Christopher Lambert) è un programmatore di videogame tormentato per un amore perduto, Solo (Diego Abatantuono) è il protagonista della sua ultimo gioco (Nirvana), che all'improvviso prende coscienza della propria vacuità esistenziale. L'alienazione virtuale è un azzardo tematico accattivante e Salvatores ci si aggrappa con originale progettualità, ma non con altrettanta fascinazione emozionale. Le forme mitiche del suo universo postmoderno sanno di già visto o di raffazzonato, l'architettura d'insieme non riesce ad esplodere nel figurativo (e sotto il kolossal spunta il bricolage), il grandguignol qua e là gli forza la mano e la regia s'invischia spesso in schematizzazioni forzose e mediocri. Se gli interventi di Abatantuono servono a stemperare la verve intellettualistica, Lambert è ancora una volta un asettico clone recitativo e il personaggio di Sergio Rubini (Joystick) risulta alla lunga fastidioso. Più vitali le presenze femminili (Stefania Rocca, Amanda Sandrelli, Emmanuelle Seigner), ma è evidente in Nirvana la carenza di una suggestione profonda che riesca a reggere con coerenza l'excursus narrativo, che sappia percorrere gli spazi critici della contaminazione tra mondo reale e artificiale senza scivolare nello standard della mediocrità. Più che effervescente, effimero. Più che virtuale, artefatto.

ezio leoni - La Difesa Del Popolo  29 febbraio 1997