Il nome della rosa |
Che da un libro già famoso (troppo?) come
Il nome della rosa di Umberto Eco sarebbe uscito un film famoso,
nel bene e nel male, era già chiaro da quando il regista Jean-Jacques
Annaud rivelò la sua cocente passione per il romanzo: ''Cominciai
a leggere. Arrivato a pagina 200, telefonai al mio agente e gli dissi di
aquistarne i diritti. A pagina 350 questi richiamò per dirmi che
erano già acquistati dalla Rai. A pagina 400 lo chiamai e gli chiesi
di organizzare un incontro con Eco ed uno con la Rai. Quando ero ormai
a pagina 450 gli appuntamenti erano fissati... Ero convinto che una sola
persona potesse fare un film e quella persona sono io.'' Certo per
chi non ha letto il libro e per chi non è affatto interessato ai
rapporti culturali tra opera originale e trasposizione cinematografica
il discorso può apparire sfizioso, eppure... Ricordiamo intanto la trama: siamo nell'autunno del 1372 e Guglielmo da Baskerville, francescano ed ex inquisitore, giunge ad una abbazia benedettina nel cuore dell'Italia per un'importante missione, su incarico dall'Imperatore; con lui è il giovane benedettino Adso da Melk. I due si troveranno invischiati in un misterioso intrigo di delitti che sconvolgono il monastero, ma che proprio negli uomini e nella cultura di quel sacro ambiente trovano fonte e fuoco (!). E torniamo dunque all'inderogabile confronto libro-film: non si pu trascurare, in primo luogo perché il portare sullo schermo un romanzo di successo (1 milione e 50 mila copie vendute) è già di per sé un astuto passo commerciale: potrà anche esserci la stroncatura critica, ma è probabile che i lettori del libro vorranno verificare di persona il valore dell'operazione... In partenza ecco allora un set gigantesco (il più vasto, in esterni, dai tempi di Cleopatra) e un cast internazionale per un impegno finanziario di circa 32 milioni di dollari (l'opulenza cinematografica è di per sé una garanzia?). In secondo luogo per il diverso impianto linguistico e di fruizione dei due media contrapposti (in parole povere la diversa filosofia con cui si costruisce un libro/un film pensando al consumatore): in letteratura sono il ritmo, lo stile, il mistero del gioco delle parole a creare il fascino dell'opera. Lo stesso vale per il gioco delle immagini, ma su un piano assai diverso. Qqui entrano in campo la bravura dei vari coautori (oltre al regista, gli attori, i fotografi, i costumisti), qui lo spettatore subisce certe sensazioni immediate dovute alla concretezza dell'impianto scenico proiettato sullo schermo, senza bisogno del tramite intimo della creazione fantastica personale (come avviene per il testo scritto): non per niente l'opera-film si conclude in circa 2 ore, l'opera-romanzo in questione dura (alla lettura) almeno 25. Tutto questo per dire che cosa? Per far capire a chi vede "a nudo" il film che nel romanzo (di Umberto Eco, grande studioso di semiologia, cioè scienza dei segni con cui l'essere umano comunica) c'era sotto ben di più, che il poliziesco-medioevale era solo un percorso di lettura che si accompagnava a tanti altri: quali la filologia (studio della lingua e del linguaggio!), la storia, la psicologia, l'ironia. Percorsi talvolta stimolanti, talvolta tediosi, tutti tesi comunque a costruire un alone di fascinosa intellighenzia (il sapere intellettuale, per capirci) tra storia e mistero. Nel film (di Jean-Jacques Annaud, discreto regista francese attento più alla forza coinvolgente che al fascino interiore delle immagini) tutto fila veloce secondo la logica della scorciatoia dello schermo, per cui occorrono poche sequenze per proporre un concetto, bastano calibrati effetti per chiarirne l'anima. Così la magica biblioteca-labirinto del monastero si svilisce nel groviglio di scale piene di ragnatele e nel suggestivo contrappunto di luci-ombre, campi-controcampi; la fanciulla messaggera di miseria e di sensualità riesce qui addirittura a sfuggire alle oscure trame dell'ingiustizia e, banalmente, il sottile rimando alla detective-story si esplicita, senza risparmio, nel fatidico ''elementare Adso''. Come si è letto da qualche parte: del fascino de Il nome della rosa si sente appena l'Eco... e.l. Cineforum in CARCERE - marzo 94 |