Nagisa Ōshima: un “imperatore” del cinema

23 marzo 1932 – 15 gennaio 2013

   Quanto Lo scandalo di L'impero dei sensi (1976), che portò prepotentemente alla ribalta la figura di Nagisa Ōshima, costituisce il giro di boa del suo iter artistico. Il rigurgito trasgressivo degli anni '70 trovò in quel crudo racconto di aberranti dinamiche erotiche un provocatorio punto di riferimento; la sua "gloria occidentale" sarebbe stata consacrata due anni dopo dal premio per la miglior regia al Festival di Cannes a L'impero della passione. L''essenza del cinema di Ōshima va però ricercata nella complessità della sua filmografia che vede i suoi contrastati esordi alla fine degli anni '50: Il quartiere dell'amore e della speranza, Racconto crudele della giovinezza e Notte e nebbia sul Giappone fotografano un Giappone spersonalizzato, con le nuove generazioni turbate da un passato segnato dalla sconfitta ed un presente in crisi d'identità (l'ingerenza USA!). Per Ōshima «il senso della storia vacilla tra il marxismo e l'utopia di una nuova identità nazionale... e la dimensione poetica di tutto il suo cinema nasce dalla visione di una umanità umiliata dalla guerra, affamata di sesso, disperata e ferita, sempre più povera, per la quale qualsiasi atto di ribellione diventa atto rivoluzionario contro il potere e gli uomini che lo detengono» (L. Vitalone).
Su queste premesse
L'impiccagione (1968) estremizza il suo furore ideologico-espressivo affidando al "meccanicismo" dell'esecuzione capitale lo scarto simbolico tra una rivalsa soggettiva (generazionale) e il fatalismo che soggioga la società e le istituzioni.
Ma bisogna arrivare a
La cerimonia (1971) perché l'arte cinematografica di Ōshima si esprima nella sua compiuta grandezza. La storia del clan Sakurada, la tormentata vita del giovane Masuo, sono lo specchio impietoso di un Giappone dilaniato, oppresso dai fantasmi della guerra e della morte, imbrigliato nei lacci della famiglia e dei suoi canoni rituali. L'obiettivo di Ōshima è quello di sovvertire lo status social-cinematografico che lo circonda, destrutturando l'architettura tradizionalistica dei rapporti familiari e personali, dei riti e della sessualità. In questo contesto simbolico ed autobiografico (del regista e di una nazione) il cerimoniale della tradizione si configura come una gabbia esistenziale che solo la ricomposizione “teatrale” del processo creativo può scardinare e a cui solo l'iperbole di un cinema vibrante e visionario può dare il respiro di una tragedia universale.
Se sono questi gli atteggiamenti autoriali, ancor più estremizzati, che ritornano negli amori funesti dei due imperi, con
Furyo (1983) Ōshima «narra e illumina i meandri di ogni conflitto che dilania gli uomini» e allarga lo sguardo oltre le contraddizioni dell'ostilità e delle passioni familiari, "processando" l'ottica istituzionale che incornicia, giustifica ed esalta la crudeltà dell'essere umano.
Il tema dell'omosessualità, presente in
Furyo, fa poi da ponte con Tabù-Goatto (1999) ultima tappa del cammino dissacratore di Oshima: è solo una calma apparente quella della contemplazione estatica della bellezza;  ancora una volta la forza delle pulsioni è inarrestabile, lo spettro della morte incombe e il rigore della ragione nulla può contro l'impero dei sensi...

ezio leoni - ottobre 2012

   

L'impiccagione (Koshikeil)
Nagisa Ōshima
– b/n Giappone 1968 – 1h 58’

versione originale sottotitolata

  L'impiccagione di uno studente, condannato per avere stuprato e ucciso due ragazze giapponesi, non riesce: l'uomo non muore e perde la memoria. Per ridargli un'identità, i burocrati della giustizia tentano una psicoterapia, improvvisandosi attori che mimano le fasi salienti della sua vita e i delitti da lui commessi. Per rievocare l'ultimo crimine si ricorre a una ragazza (non attrice) coreana come lui. L'imputato ritrova sé stesso e può essere impiccato. La botola si riapre, lui precipita nel vuoto, ma il cappio non stringe nulla. Uno dei più potenti film di Oshima: "un grido di rivolta (contro il potere), un insulto ai sacri principi (l'ordine, la legge e le sue ipocrisie), un divertimento macabro, una fiaba allucinata" (F. Di Giammatteo). Scritta dal regista con Tsumotu Tamura, Mamoru Sasaki e Michinori Faukao, anche se che nella 2ª parte s'ingorga e ridonda per un eccesso di simbolismi e di indignazione, resta un'acre parabola satirica (alla Brecht).

Il Morandini - Dizionario dei Film

   

La cerimonia (Gishiki)
Nagisa Ōshima
– Giappone 1971 – 2h 3’

versione originale sottotitolata

  La storia del Giappone dal 1947 al 1971, rivista attraverso le cerimonie che hanno segnato la vita del giovane Masuo: tre funerali e due matrimoni che mettono in evidenza lo scontro, spesso crudele, tra i formalismi di un’organizzazione tradizionale come la famiglia Sakurada (sempre pronta anteporre la volontà del gruppo agli interessi particolari) con la realtà in via di trasformazione che la circonda. Forse l’opera più ambiziosa del regista, tutta costruita dentro una ritualità esasperata dove «ogni cerimonia è una tragedia in un solo atto, destinata da sempre a lasciar tutto come prima». Disperato grido di ribellione di un giapponese che cerca di fare i conti col proprio passato macchiato da una «infamia» come la guerra che non potrà mai razionalizzare né esorcizzare. Interrogandosi sui propri fantasmi, Masuo (ma evidentemente anche Ōshima stesso) ricompone così, in un’opera personalissima calata nelle radici dell’anima giapponese, i temi eterni della cultura di un Paese: l’ossessione della morte e del suicidio, la forza dei legami familiari e di clan, l’oppressione di un’autorità che continua a far sentire il peso delle tradizioni, lo scontro tra irrazionalismo e razionalismo. Bello e angoscioso.

Dizionario dei film – a cura di Paolo Mereghetti

   Il giovane Masuo Sakurada, in viaggio n la cugina Ritsuko, invano amata, verso n’isola sperduta (rifugio e tomba del loro cugino Terumichi), passa in rassegna gli eventi che hanno scandito la storia sua e della famiglia Sakurada. Una famiglia dominata dal nonno Kazuomi che lo accolse bambino, nel ‘47, in fuga con la madre dalla Manciuria, con alle spalle un padre suicida e un fratellino morto. Subordinato a Terumihi (prediletto dal nonno e suo probabile figlio), Masuo (il ‘Mancese’, per indicare la sua diversità e inferiorità), morta la madre, cerca un riscatto sentimentale nell’affetto per la zia Setsuko, e un riscatto morale nei successi come giocatore di baseball. Quando Setsuko muore, Masuo sposta il suo affetto sulla figlia di lei, Ritsuko, che però ha già dato il suo amore a Terumichi. Nel groviglio delle cerimonie, Masuo sembra smarrirsi, vittima di un disegno che lo vuole fatalmente in confitto nella sua aspirazione all’identità e all’amore (come nella cerimonia simbolica del suo matrimonio simulato, in assenza della sposa). E a questo punto che il suo antagonista Terumichi esce di scena, per rifugiarsi nell’isola lontana. Masuo e Ritsuko, raggiunti da un telegramma che annuncia a morte del cugino, partono per svelare l‘ultimo mistero: con la sua morte Terumichi ha voluto seppellire tutti i Sakurada. Ritsuko decide di rimanere (morire) con lui. Masuo, l‘eternamente straniero, riparte: si rivede in sogno, giocatore bambino di baseball in compagnia di Terumichi, Ritsuko e Setsuko, ora perduti.
   Rivelazione a Pesaro nel ‘71, è il film che più ha contribuito, forse per la simmetrica limpidezza della sua struttura a flashback , a far conoscere il nome di Ōshima e a lare un’idea del suo difficile cinema. Di questo cinema, tutto imperniato sul tema autobiografico della tragedia della giovinezza mancata, Gishiki (due ore densissime di atti, di tensioni, di splendore figurativo) può dirsi la summa. Il tema autobiografico si dilata e, se c’è autobiografia, è l’autobiografia di un’intera nazione che rivisita gli ultimi ‘venticinque anni della sua storia attraverso alcune date cruciali: ‘47, ‘52, ‘56, ‘61, e si ritrova senza un’identità, come l’io narrante Masuo. Il monologo interiore del protagonista porta alla luce della coscienza il teatro della famiglia Sakurada come perversa messinscena, luogo d’incubo, labirinto di demoni, magnificato come tale dallo sguardo visionario di Oshima, per il quale la famiglia Sakurada non è altro che la famiglia-Giappone, aggrappata ai suoi riti millenari, incapace di riconoscersi e di accettarsi.

Sergio Arecco - Dizionario Universale del Cinema (a cura di Fernaldo di Giammatteo)

   

L'impero dei sensi (Ai no Korida)
Nagisa Ōshima
– Giappone/Francia 19761h 38’

  Il morboso rapporto che lega Kichizo alla giovane cameriera Abe Sada spinge i due amanti alla ricerca di un rapporto sessuale sempre più estremo: chiusi in camere d’albergo o in mezzo a un gruppo di geishe, mettendo in scena un impossibile matrimonio (lui è sposato) oppure coinvolgendo una vecchia cadaverica, inventano giochi erotici con un uovo sodo o con un laccio strangolatore, con cui Sada regalerà a Kichizo e a se stessa l’ultimo irripetibile amplesso. Poi, morto l’uomo durante l’orgasmo, la donna gli taglierà i genitali e fuggirà portandoli con sé... Tratto da un fatto di cronaca del 1936 (a cui si è ispirato anche Noburo Tanaka per il suo Abesada, l’abisso dei sensi), il film ha provocato scandali e censure, subendo il marchio pornografico dell’hardcore per le molte scene girate in maniera realistica (ma comunque mai volgare). Influenzato da un Bataille riletto attraverso le componenti più sadomasochistiche della cultura giapponese, il film rifiuta polemicamente la realtà storica per rinchiudersi in una «minuziosa, insostenibile, affascinante descrizione dei suoi rituali di possesso sessuale», nuova e ulteriore rappresentazione dell’alienazione sociale da parte del più immoralista e visionario dei registi nipponici.

Dizionario dei film – a cura di Paolo Mereghetti

   

L'impero della passione (Ai no borei)
Nagisa Ōshima – Giappone/Francia 1978 – 1h 41

premio per la regia a CANNES

  1896: l’ancora piacente Seki diventa l’amante del giovane ex soldato Tokoji, e insieme strangolano il marito Gisaburo. Ossessionati dal fantasma dell’ucciso, i due finiranno per confessare, anche se resteranno fedeli uno all’altro, fino alla morte. Dopo L'impero dei sensi, Ōshima racconta la storia di un’altra coppia maledetta, che neanche la paura della giustizia e dell’Aldilà riesce a separare. Anche se manca la passione che ci si aspetterebbe: dopo le polemiche e i processi per il film precedente, rinuncia all’hardcore (e ci perde) per rifugiarsi in un formalismo abbagliante quanto freddo. Anche sul versante fantastico, pochi lampi (gli amanti che rovistano nel fango alla ricerca del cadavere di Gisaburo) si alternano alla maniera.

Dizionario dei film – a cura di Paolo Mereghetti


   

Furyo (Merry Christmas Mr. Lawrence)
Nagisa Ōshima – Giappone/Gran Bretagna/Nuova Zelanda 19832h 2’
versione originale sottotitolata

  In un campo di concentramento giapponese a Giava, nel 1942, il comandante Yonoi (Rvuichi Sakamoto), frustrato per non essere al fronte a morire per l’imperatore, non riesce a combattere il fascino che esercita su di lui l’ufficiale inglese Jack Celliers (David Bowie). Tratto da un romanzo di sir Laurens Van Derr Post (sceneggiato dal regista con Paul Maysberg), il film «narra e illumina i meandri di ogni conflitto che dilania gli uomini» superando immediatamente i limiti di una lettura solo in chiave omosessuale: il desiderio non vive attraverso due uomini, ma investe due culture e due tradizioni, acutissima espressione di quel movimento oscillante di attrazione/repulsione che caratterizza la cultura giapponese dell’intero Novecento. Raccontato in maniera corale, attraverso i drammi e le angosce dei prigionieri e dei soldati giapponesi, scandito nel dialogo dall’ossessiva citazione dei paragrafi del regolamento militare, il film diventa così un’intensa ed emozionante riflessione sull’irrazionalità della guerra e delle passioni, sulle contraddizioni della storia e dell’educazione (le sevizie subite fanno ricordare a Celliers una sua antica colpa e i crudeli riti di iniziazione dei novellini in un college inglese), sulla ferocia e l’insensatezza della giustizia. Il film si chiude, infatti, dopo la fine della guerra, con l’inutile condanna a morte da parte del tribunale militare del sergente Hara - interpretato da un indimenticabile Takeshi Kitano, che in seguito passerà alla regia - che saluta uno dei suoi ex prigionieri, il dottor Lawrence (Tom Conti), con un commovente «Buon Natale, mister Lawrence». Da antologia la scena del bacio di Bowie a Sakamoto (la più famosa rock star giapponese, autore della straordinaria colonna sonora).

Lietta Tornabuoni - La Stampa


 

Tabù - Gohatto
Nagisa Ōshima – Giappone 1999 – 1h 39

  Primavera 1865. Presso il tempio Nishi-Honganji, i samurai del clan Shinsengumi stanno selezionando nuovi soldati. Tra tutti gli aspiranti solo due vengono scelti: Hyozo Tashiro, un samurai di bassa origine del clan Kurume e l'attraente Sozaburo Kano. Costui diventa subito oggetto delle attenzioni di Tashiro. Sono le regole rigide a tenere unito il gruppo, ma la bellezza di Kano sconvolge l'ordine provocando rivalità e gelosie. Non solo di ordine militare. "Ho passato la mia vita a infrangere tabù" afferma il sessantanovenne Nagisa Ōshima. Ed è vero. Basti pensare a L'impero dei sensi o al più fruibile ma altrettanto fuori dagli stereotipi Furyo. Quale tabù è più radicato per i giapponesi della virilità dei samurai? Ōshima la mette in dubbio con la raffinatezza di sguardo che gli è abituale, ma anche con decisione.

Il Morandini - Dizionario dei Film

  Non è nuova la storia del magnifico Tabù - Gohatto, il film che segna il ritorno del giapponese Nagisa Ōshima dopo anni di inattività e malattia. Dal Billy Bud di Melville al pasoliniano Teorema, passando per Furyo, il capolavoro dello stesso Ōshima, molti sono i titoli che si potrebbero citare (...) Fra Eros e Thanatos, la fine di una casta e di un'epoca. Implacabile, glaciale, percorso da una sottilissima ironia ma anche da fulminee impennate liriche. Un film perfetto, da cima a fondo.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

 cinema invisibile LUX settembre-dicembre 2013