Pauline alla spiaggia (Pauline à la plage)
Eric Rohmer - Francia 1983 - 1h 34'

6 commedie e proverbi, n° 3
Orso d’argento a Berlino


  Nell’ultimo scorcio balneare di settembre, la tredicenne Pauline (Amanda Langlet) e la bella zia Marion (Arielle Dombasle) intrecciano amori e chiacchiere, sempre sull’amore, in un piccolo gruppo di amici che comprende un romantico insegnante di windsurf, un infaticabile tombeur de femmes, un coetaneo di Pauline e una frivola ragazzotta. Terzo episodio della serie COMMEDIE E PROVERBI, porta a epigrafe l’affermazione di Chrétien de Troyes: «Chi troppo si danneggia». Una deliziosa commedia girata in stato di grazia che senza alcuna morbosità porta in scena l’acerba freschezza di un'educazione sentimentale.

Dizionario dei film – a cura di Paolo Mereghetti

  Tutti i personaggi - adorabili intellettuali dall’abito casual, ma un po’ dandy - si ostinano in qualche amore, in qualche strategia, in qualche fallace ipotesi, ma soprattutto si ostinano a parlarne e a parlarcene, come se il desiderio potesse, attraverso la parola, tramutarsi in realtà. Dediti alla «fantasticheria e ai castelli in aria» come recita il proverbio iniziale di Le beau mariage, i personaggi si dedicano all’ostinata enunciazione dei propri desideri e delle proprie personali ideologie. In campo sentimentale, ogni dichiarazione d’intenti si rivolta contro chi la pronuncia. «Je vais me marier» ripeteva Sabine in Le beau mariage, allontanando così da sé ogni possibilità di riuscita; «Je veux tomber amoureuse», pronuncia Marion in Pauline à la plage, con la stessa ostinazione, durante quegli incontri con gli amici che si trasformano, immediatamente, nella messa in scena consapevole dei diversi movimenti dell’economia sentimentale. In una dichiarazione di molto tempo fa, Rohmer aveva detto: « i personaggi dei miei film partono sempre da una idea forte e il finale si rivolta contro di loro. Cioè si conclude su una disillusione».
È sorprendente come la «classicità» di Rohmer, perlomeno nell’ambito del «discorso amoroso», sembri capace di virare verso una lucidissima contemporaneità d’analisi dei comportamenti: i personaggi che abusano della parola come mediazione conoscitiva verso quell’oggetto invisibile e inavvicinabile che è l’amore, alludono, è vero, al vizio intellettuale, ma, soprattutto, fungono da pedine simboliche di un sottinteso gioco generazionale […] Si parla di noi, insomma, e dei nostri ultimi dieci anni di vita.

Piera Detassis - Cineforum

 

cinema invisibile TORRESINO ottobre-dicembre 2010