Il pianista (Le pianiste)
Roman Polanski
- Francia/Gran Bretagna 2002 - 2h 28'

 Palma d'oro al Festival di Cannes

miglior regia
miglior attore protagonista (Adrien Brody)
miglior sceneggiatura non originale

   Cosa “dice” di nuovo Il pianista, rispetto alla pletora di piccoli e grandi film sull’olocausto (da Notte e nebbia a Gli ultimi giorni, da La scelta di Sophie a Schindler’s List)? Cosa “mostra” di così significativo film precedente in archivio Roman Polanski film successivo in archivio per essere stato premiato a Cannes con la Palma d’oro ed essere riuscito a toccare il cuore del grande pubblico? Nella “esemplare” storia (vera!) di Wladyslaw Szpilman, famoso pianista polacco che, internato nel ghetto di Varsavia, riesce a scampare alla deportazione ed alla persecuzione nazista sopravvivendo, come un fantasma, braccato e smunto, in rifugi precari nella sua stessa città, c’è il deflagrante amalgama di un maturo ricordo autobiografico (Polanski è un ebreo-polacco) e della tenebrosa vitalità figurativa di un indiscusso autore del cinema contemporaneo (Il coltello nell’acqua, Chinatown, Rosemary’s Baby, Tess…).


Così è nella fusione di questi due elementi che prende forza il racconto, fedele nell’essenza al libro di Szpilman “Das wunderbare ueberleben" (ma con il supporto della sceneggiatura di Ronald Hardworood, già scripter di A torto o a ragione) e rivitalizzato da una visione di situazioni ed eventi che ispessiscono di drammatici particolari l’immaginario dello spettatore e suggestionano, turbano, feriscono la sua coscienza: uomini e donne costretti, in uno scherzo crudele, a ballare per le strade come animali da circo, un vecchio in carrozzella gettato senza pietà dal balcone della sua casa, cittadini ridotti a medicanti che si rubano il cibo per strada e lo divorano anche quando cade nel fango, un popolo intero vessato, umiliato, stipato su quei treni merci senza ritorno, il lavoro duro della manodopera ebrea rimasta a Varsavia e sottoposta alla follia omicida dei soldati tedeschi, quel bambino, intrappolato in un pertugio del muro del ghetto e picchiato a morte…
(va ricordato come Polanski, che a suo tempo rifiutò un’offerta di Spielberg per occuparsi di Schindler’s List, ebbe la propria famiglia sterminata dal nazismo e che suo padre lo mise in salvo facendolo scappare proprio da un buco nel muro che circondava il ghetto di Cracovia!).
 




Alle pagine tragiche che tanto cinema ci ha già illustrato, nel Pianista si aggiungono squarci lirici e storici di assoluta, originale intensità. Szpilman, nascosto e segregato in un appartamento del centro, vede dalle sue finestre l’evolversi della guerra (la fallita rivolta del ’42, il ripiegamento tedesco del ’44 hanno il tono asciutto e incalzante del reportage) e riveste il ruolo di immancabile testimone, sballottato e graziato da un grottesco destino; il suo addentrarsi tra le rovine di una Varsavia distrutta (ecco un uso davvero mirato del digitale) assume una stralunata, straziante connotazione evocativa, la partitura sonora che lo “accompagna” per tutto il film - dagli studi di Radio Varsavia (allo scoppio della guerra) ai locali dove ha la fortuna di trovare lavoro negli anni del ghetto, da una metafisica sonata in cui le sue dita, per paura di essere scoperto, non possono toccare i tasti del pianoforte, fino all'esibizione (nell'ultimo rifugio) per l'ufficiale tedesco e al concerto dei titoli di coda – stempera nella sostenibile leggerezza della musica la lenta maestosità di un cinema classico, in cui serpeggiano i cupi tormenti che l’opera di Polanski in altri ambiti e in altre forme aveva da sempre evidenziato.

Appendice cinefila  

Oltre alla grande interpretazione di Adrien Brody (Bread & Roses) che si è trasferito in Europa, ha venduto macchina e telefonini e ha perso quindici chili per entrare meglio nella parte, vanno apprezzate le finezze stilistico-narrative di Polanski. In primis l’uso di una fotografia desaturata, che ha un impatto di rivisitazione ancor più efficace del bianco e nero, poi alcune toccanti citazioni (l’allucinata segregazione di questo nuovo Inquilino del terzo piano - titolo di un suo film del 1976 - e la lettura del Mercante di Venezia di Shakespeare, con l’accorato lamento di Shylock, che rimanda al Vogliamo vivere di Lubitsch), il personaggio dell’ ufficiale della Wehrmacht (che ama Beethoven e Chopin) affidato all’ex-olimpionico di nuoto della DDR Thomas Ketschmann e, infine, il costante riferimento al ruolo (soggettivo) della visione nella rilettura del passato: dalla sequenza del vecchio gettato dal balcone alla cronaca dei fatti salienti delle vicende di Varsavia, dalla coabitazione col quartier generale tedesco nella villa abbandonata all’arrivo dei guarnigione russa, Polanski e il suo pianista, fanno stare noi e il cinema, ancora una volta, “alla finestra” della storia!

ezio leoni - La Difesa Del Popolo - 17 novembre 2002

TORRESINO - dicembre 2002 / gennaio 2003

promo

L'appassionante avventura di Wladyslaw Szpilman, pianista ebreo che vede la sua Varsavia trasformata in un ghetto dall'a barbarie nazista. Sfuggito alla deportazione vive braccato nella sua città in attesa del termine della guerra. Un nuovo grande capitolo sulla tragedia dell'olocausto, diretto con soavità e mestizia da Roman Polanski. Palma d'oro al Festival di Cannes.