Sacro GRA
Gianfranco Rosi - Italia/Francia 2013 - 1h 33'

LEONE D'ORO


 

   Il primo film italiano Leone d’Oro a Venezia in 15 anni pone una serie di interrogativi. Il primo è di carattere identitario: così come la regia di Gianfranco Rosifilm successivo in archivio descrive come lontano, dai contorni indefiniti, poetici e misteriosi ciò che si trova nel Grande Raccordo Anulare, è altrettanto spiazzante trovare un autore off improvvisamente sotto le luci della ribalta. Alzando la pietra dell’indifferenza dello spettatore medio nei confronti del cinema italiano autentico, prima che del documentario (di qualsiasi nazionalità), sotto di essa è stato scoperto un affascinante brulicare di vitalità autoriale che prima si ignorava. Insomma, il cinema è davvero anche questo, e noi non lo sapevamo? Ce lo chiediamo anche perché, mentre scriviamo, Sacro GRA si avvicina a totalizzare duecentomila ingressi nelle nostre sale. Ma gli interrogativi sono anche altri: un documentario può farci vedere ciò che passa sotto il nostro naso ogni giorno? Può scavare sotto lo strato di ordinario in cui siamo sprofondati e colpirci al cuore? Raccontare microstorie apparentemente insignificanti può servire a costruire una storia che vorremmo che ci fosse raccontata, anche se ancora non lo sappiamo? Come è possibile che un nobile decaduto e la sua annoiata figlia, un guidatore di ambulanze, due prostitute che vivono in roulotte, un palmologo, solo per citare alcuni personaggi del film, diventano tasselli di un’alterità che sembra avere l’urgenza di mostrarsi?
Mosso da sempre dalla fascinazione per luoghi e personaggi fuori dall’ordinario come dal concepibile (i suoi film precedenti, Below Sea Level e El Sicario sono praticamente introvabili in Italia), Rosi ci tiene a sottolineare che il suo film è frutto di tre anni di lavoro, ossia di una ricerca incessante sul Raccordo che circonda la nostra Capitale. Possiamo solo immaginare la quantità enorme di girato, di dettagli insignificanti che asciugati, strizzati, spezzettati, contribuiscono a creare un viaggio come questo in un altrove che ci sembra lontanissimo. Il paragone che ci sentiremmo di fare sarebbe con Werner Herzog e il suo Ignoto spazio profondo, eppure a Gianfranco Rosi non serve introdurre un elemento esplicitamente fantastico (un attore, in Herzog, che tramuta in immagini di finzione il reale che ci viene mostrato) per rendere organico e iperrealistico, qualcosa che fondamentalmente non lo è. Non c’è, come in Herzog, la fascinazione per la Natura come regno del caos: a prevalere è l’elemento umano nella sua accezione di “produzione umana”. Se il Raccordo è un prodotto dell’ingegno umano, l’umanità rappresentata è essenzialmente produzione del Raccordo: in questo
Sacro GRA è davvero figlio della nostra contemporaneità, cinema che guarda all’uomo come ad un insetto su una mappa non per studiarne il comportamento, ma per cercare di carpire il segreto dell’ambiente in cui si muove. Per questo Rosi non ha bisogno di cercare davvero delle tracce narrative, quelle che forse lo spettatore medio da un documentario si aspetta: dietro alle briciole delle storie che vediamo c’è un mistero sospeso, che tale deve rimanere. È questo mistero che rende Sacro GRA cinema potente, da non perdere.

Pietro Liberati - ottobre 2013 - pubblicato su MCmagazine 35



promo

Il Grande Raccordo Anulare, autostrada urbana che cinge l'enorme agglomerato romano, è il soggetto unico e al tempo stesso sfuggente di Sacro GRA con cui Gianfranco Rosi ha deciso di raccontare il proprio Paese girando e perdendosi per tre anni con un mini-van sul quel raccordo che con i suoi 70 km è la più estesa autostrada urbana d'Itali. Un documentario costruito con una regia attenta e umanamente partecipe, tesa a fotografare con immediatezza le storie di chi vive intorno alla grande strada-cintura: personaggi colti nella loro esistenza quotidiana, un viaggio attraverso le vite e i paesaggi inattesi della città eterna. Premiato a Venezia con il Leone d'oro.

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