Shine a Light
Martin Scorsese - USA/Gran Bretagna 2007 - 2h 2'

    Serviva un monumento d'autore, 38 anni dopo quello che girò Jean Luc Godard, per fissare definitivamente la leggenda "live" dei Rolling Stones. E nessuno poteva costruirlo meglio di Scorsese.
Shine a Light coglie la band in un concerto, al Beacon Theatre di NewYork, ambiente insolitamente intimo per la band, con Bill e Hilary Clinton ospiti d'eccezione, e Keith Richards che lancia alla camera la folgorante battuta: "I'm bushed", che vuole dire sono stanco morto, ma il gioco di parole è più che evidente. Jagger arriva in scena con un fracchettino aperto su una camicia rossa e scatena le danze attaccando
Jumping Jack Flash. Il film è un'immersione totale e incredibilmente dettagliata del concerto. Grazie a un profluvio di camere (diciassette per l'esattezza) la performance è sezionata al microscopio. Non sfugge nulla, non sfuggono le rughe dei quattro Stones, le loro maschere iconiche, come se più di quarant'anni di musica avessero scavato in quei volti l'essenza del rock-blues. Non sfuggono dita e occhi, volti sudati, non sfugge la luccicante patina degli strumenti elettrici, non sfuggono le espressioni dei quattro e dei loro ospiti: Jack White, Buddy Guy e Cristina Aguilera. Charlie Watts è come al solito il più distaccato, Jagger è scintillante e funambolico, Ronnie Wood e Keith Richards si beano di riff e assolo come se fosse il massimo godimento concesso dalla vita. Di tanto in tanto vecchi filmati di repertorio, ci restituiscono gli Stones giovani, beffardi, estaticamente strafatti. Il montaggio è vorticoso, instancabile, esprime e moltiplica l'energia sul palco, descrive l'eccitazione del rock, ben lontano dallo sguardo più pacato ed elegiaco scelto da Scorsese per The Last Waltz. In alcuni episodi la regia è sublime. L'effetto più interessante è che il missaggio della musica cambia, mette in evidenza quello che la camera inquadra, come se fossero zoomate sonore. Così che risalta ora la voce di Mick, ora il riff magnificamente sporco di Keith. E l'intenzione è chiara. Il pubblico si percepisce poco, è una quinta quasi sfocata, la camera è sul palco indaga "da dentro", è presente, come se fosse il quinto elemento degli Stones e infatti a concerto finito esce in soggettiva, raccoglie flash e applausi, incontra Scorsese all'uscita e vola via in alto, a inquadrare una New York di notte con una enorme luna che piano piano diventa la linguaccia degli Stones.
 

Gino Castaldo - La Repubblica

cinélite TORRESINO all'aperto: giugno-agosto 2008