Spider
David Cronenberg - Canada 2002 - 1h 38'

da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro)

     Un altro uomo del treno scende alla stazione di Londra, indossa cinque camicie, si avvia, uscito dal manicomio, verso il recupero della propria infanzia. E' con la sua «silenziosa» follia, che conosceremo a tappe, che David Cronenberg, amante dei mutanti di ogni ordine e grado, ci irretisce nella tela di ragno, in un'annata dominata dall'aracnofilia. In Spider il regista mostra altri due «inseparabili», l'uomo e sua madre, un maxi complesso edipico con un omicidio a latere che lo perseguiterà per sempre. L'inizio del film è fantastico, agghiacciante, e Ralph Fiennes, col suo monocorde mutismo, anche espressivo, è così inquietante da risultare contagioso. Poi la porta della memoria si apre sui flashback dolorosi di famiglia, col piccolo Spider allo starter di tutte le sue nevrosi che portano al delitto. Mai come questa volta lo «sguardo» di Cronenberg ci ha murato vivi nella claustrofobia di una malattia mentale che è poi la solitudine, col trauma del doppio: la realtà diventa la soggettiva del protagonista, cui si addice lo slogan: «C'è qualcosa di peggio che perdere la propria mente. Ritrovarla». Un incubo, un rimbombo sordo di proporzioni kafkiane in un film remoto e notturno in cui Fiennes, prigioniero delle immagini, è un insetto perduto in un mondo di cui non conosce più la verità e il rapporto causa-effetto. Tratto dal romanzo di Patrick McGrath (Bompiani), che l'ha riscritto per il cinema, Spider è un lento e inesorabile cammino verso l'atrocità della memoria che cancella il confine tra realtà e follia e in cui anche lo spettatore ha il diritto e il dovere di perdersi.

da Film Tv (Emanuela Martini)

     C'è una vecchia cisterna del gas che incombe sul paesaggio della Londra industriale e squallida che accoglie Spider all'uscita del manicomio: una città affogata in strade e stanze antiquate, con la tappezzeria lise e una patina grigiastra e polverose che ricopre ogni cosa. L'ultimo film di David Cronenberg avrebbe potuto essere girato in bianco e nero, e l'autore e lo scenografo Andrew Sanders hanno raccontato di aver sottratto gamme cromatiche alla pellicola, per ricreare un'atmosfera astratta e la monotonia desolata che caratterizzava certi reportage londinesi del dopoguerra. Spider, il protagonista, vive infatti fuori dal tempo reale, o meglio vive in un tempo tutto suo, dove passato e presente, vero e falso, quello che lui crede sia successo e quello che invece si è davvero verificato, si sovrappongono incessantemente. Spider è schizofrenico e la sua vita fuori dalla casa di cura spazia in un disordine indefinito. Spider cerca le immagini giuste, il bendalo della matassa che gli si è tessuta intorno come una tela ,la faccia di sua madre nei volti di tutte le donne che incontra. Cerca la sessualità e il calore di sua madre: Kafka incontra Freud (ma anche i paradossi crudeli di Beckett e Pinter) in un sobborgo di Londra. E su tutto aleggia un gran puzzo di gas. Sarebbe stato impossibile trovare un regista più adatto di Cronenberg per raccontare il solitario viaggio nell'incubo di Spider, per riuscire a rendere gli impercettibili confini tra i suoi mondi, per fargli rivivere da spettatore quello che ha già vissuto da bambino (o forse no). Il regista canadese è un maestro nella materializzazione di un'atmosfera che si fa racconto, sperdimento interiore, e nella frantumazione concentrica dei punti di vista, tanto da affogarci nella stessa incertezza di prospettiva del protagonista, nella sua memoria e nella sua coscienza frantumate. Spider è un film di "percezione" più che di "narrazione", non un plot ma una trama che pare modellata da Escher. Sentire quello che Spider borbotta, intuire quello che scarabocchia, annusare l'aria che lui annusa. Nulla ha senso se non l'odore di gas, la mamma, un'infanzia devastata. 

da La Repubblica (Roberto Nepoti)

     Arcano e perturbante fino dai titoli (dove le macchie di Rorschach, usate dagli psichiatri per suscitare le associazioni mentali del paziente, compaiono in forma di pitture scrostate su un muro), il nuovo film di David Cronenberg mette in scena una tragedia famigliare attraverso la mente sconvolta di uno psicopatico, un "ragnetto" di mamma che compare in doppia versione: da bambino e con i tratti adulti di Ralph Fiennes. Appena uscito dall'ospedale psichiatrico, un uomo dallo sguardo febbricitante giunge nello squallido e fatiscente quartiere londinese dove ha vissuto da piccolo; quando, morta sua madre, il padre (Gabriel Byrne) la sostituì con una donna sconcia e volgare (Miranda Richardson sostiene entrambe le parti). Come da manuale di psicanalisi, la madre è due donne contemporanemente: l'angelo protettivo e vittima del padre da una parte, dall'altra la puttana che fornica col genitore maschio. Nel mettere in immagini la sceneggiatura che Patrick McGrath ha tratto dal proprio romanzo Spider, Cronenberg varia sull'ossessione che predilige in assoluto - l'"orrore delle personalità" - guidando lo spettatore in un viaggio allucinante per i meandri della follia: lo introduce in una temporalità astratta e sospesa; gli provoca sussulti suggerendogli efferatezze senza bisogno di mostrargliele; dipinge la periferia londinese come un universo mentale. Una volta scelto di raccontare gli eventi attraverso il punto di vista schizofrenico del protagonista, il regista canadese si attiene rigorosamente al proposito, rifiuta ogni tentazione spettacolare e adotta una freddezza clinica che raggela la rappresentazione [...] Ma nello stesso tempo lo spettatore si sente preso in una specie di ragnatela ipnotica, che lo avvolge poco a poco e non lo lascia più andare. 

 

promo

"C'è qualcosa di peggio che perdere la propria mente. Ritrovarla?" Spider, dopo aver passato un lungo periodo in un istituto psichiatrico, ritorna ad abitare nel quartiere dove è nato. Ma la cosa non giova alla sua salute: è proprio lì che suo padre uccise sua madre per sostituirla con una prostituta...  Un incubo,  un lento e inesorabile cammino verso l'atrocità della memoria che cancella il confine tra realtà e follia e in cui anche lo spettatore ha il diritto e il dovere di perdersi. Una specie di ragnatela ipnotica, che lo avvolge poco a poco e non lo lascia più andare.

TORRESINO - gennaio 2003