Staub
Hartmut Bitomsky - Germania/Svizzera 2007 - 1h 30'
- documentario -

Kagadanan sabanwaan ning mga engkanto
Lav Diaz - Filippine 2007 - 9h
- documentario -

Venezia 64° - Orizzonti

 Venezia 64° - Orizzonti
MENZIONE SPECIALE


     Sembra qui opportuno segnalare due film-documentario molto interessanti proiettati nell'ambito della sezione Orizzonti : Staub (Polvere) del tedesco Hartmut Bitomsky e Kagadanan sa banwaan ning mga engkanto (Death in the land of Encantos) del filippino Lav Diaz.

Nel primo Bitomsky, che oltre a regista è anche studioso di teoria e storia del cinema, saggista e scrittore, vince una sfida filmando il più piccolo soggetto visibile di cui possa trattare un film: la polvere. Sfida perfettamente riuscita in quanto la sapiente alternanza di punti di vista dai quali la materia viene affrontata, da quello della casalinga ossessionata dalla lotta per sconfiggerla a quello di scienziati, meteorologi, astronomi e artisti, cattura lo spettatore all'interno di questa nuvola dentro la quale inconsapevolmente viviamo, aprendo la strada a una riflessione sulla sua esistenza, che va al di là di considerazioni puramente ecologico-catastrofiste.
La polvere è in primo luogo materia indesiderata. Essa costituisce un problema igienico, medico, estetico. Ogni secondo vengono prodotte tonnellate di polvere: emissioni di fabbriche, demolizioni di palazzi, cave di pietra sprigionano nell'aria immense quantità di particelle, parte delle quali si innalzano nell'atmosfera e vagano fino a 4000 chilometri di distanza. Ma la polvere è però anche materia primaria. Fa il cielo blu e permette la formazione delle nuvole. Quando la polvere entra in collisione con la polvere nascono pianeti e galassie. La polvere sta all'inizio dell'evoluzione e alla sua tecnologica fine si colloca lo spazio sterile.
Ciò che emerge dal film è una cultura della polvere come zona di sovrapposizione tra il sapere antropologico e quello filosofico. "La polvere segna i limiti dello spazio in cui possiamo ancora scoprire in prima persona chi siamo e da dove veniamo, cosa facciamo e cosa possiamo o dovremmo essere. Non finiremo mai di occuparcene. La polvere non se ne andrà mai." afferma il regista, che chiude il suo film con l'immagine, piuttosto agghiacciante, di un ambiente completamente asettico (all'interno di una fabbrica di microchip), costruito apposta perché la polvere non possa entrarvi.
Kagadanan sa banwaan ning mga engkanto del regista filippino Lav Diaz, considerato il padre ideologico del Nuovo Cinema Filippino, è una lunga e dolente rappresentazione dei disastri provocati nel suo paese dal tifone Reming nel novembre del 2006.
Nella prima parte la macchina da presa si muove molto lentamente, soffermandosi sulla devastazione dei villaggi e della natura, con immagini quasi fisse, ma che da subito colpiscono per l'accuratezza dell'inquadratura e per la bellezza della fotografia, depurata dei colori. Il modo in cui l'occhio del regista si posa su queste immagini apocalittiche sembra voler cercare la bellezza anche nella morte, ipotesi suffragata dall'inserimento inaspettato di una lunga inquadratura in cui la macchina da presa si muove con lo stesso ritmo lento sul corpo nudo di una bellissima ragazza che dorme in un letto. Centrale nel film è infatti la riflessione sul tema della morte della bellezza, dell'estetica e su come la bellezza può trasformarsi nel suo esatto contrario.
Su questo avvio documentaristico Diaz a un certo punto innesta una storia: quella del poeta Benjamin Agusan, che dalla Russia dove vive, insegnando all'università e dove ha lasciato una donna di cui è innamorato e ha perso un figlio, decide di tornare al suo paese natale Padang, per seppellire i genitori, la sorella e una donna che aveva amato. Il ritorno a casa nelle amate e odiate Filippine gli permetterà di curare le sue ferite e di metabolizzare i suoi dolori.
"La visione e l'estetica del film affrontano, in ultima analisi, il tema delle pressanti questioni in cui si dibatte la società filippina. La ricerca infinita della redenzione è un dono e una maledizione al tempo stesso....l'uomo combatte per un ideale. Questa battaglia rinnova perennemente nell'uomo la sofferenza e alimenta, quindi, continuamente, la ricerca della redenzione dalla sofferenza... Questo è il tema attorno al quale gravitano tutti i miei film. L'arte è parte di questa battaglia."
La durata inconsueta del film (9 ore) ne renderà sicuramente difficile la distribuzione: non c'è che da augurarsi che sia possibile vederlo in DVD, in quanto una delle opere più interessanti e innovative sul piano del linguaggio, viste a Venezia.

Cristina Menegolli - MC magazine 20  settembre 2007