Lady Vendetta (Sympathy For Lady Vengeance)
Park Chan Wook - Corea 2005 - 1h 52'

Venezia 62° - Concorso

   Il rosso e il bianco sono i colori dominanti di Sympathy For Lady Vengeance, il film di Park Chan Wook che conclude la trilogia della vendetta dopo Sympathy for Mr. Vengeance e Old Boy. <<
Sul bellissimo manifesto del film, che riproduce la grafica dei santini, la protagonista Lee Young-ae, in posa ieratica da madonna piangente, spicca col bianco del volto, delle mani e dell’abito, circondata da un’aureola fosforescente, su uno sfondo rosso sangue. Rosso è l’inchiostro da tatuaggi che cola su una pelle bianchissima durante lo scorrere dei titoli di testa. Bianco come purezza e redenzione, rosso come violenza e vendetta. Bianco è il panetto di tofu che alcuni devoti offrono alla protagonista all’uscita dal carcere, per consacrare la recuperata purezza, e che viene però bruscamente rifiutato dalla stessa nella sequenza di apertura del film. Molto sangue dovrà essere versato per arrivare a questo rito di purificazione simbolica e infatti l’eroina abbandona delusi i suoi sostenitori e si avvia sulla strada della vendetta.
Ingiustamente accusata di un delitto infamante, l’infanticidio, la bella Geum-ja, esce dopo tredici anni di prigione, dove per la condotta quasi da santa si è guadagnata il soprannome di Geum-ja “cuore gentile”,  e si mette alla ricerca del vero responsabile di quell’omicidio e anche di quelli di altri bambini.  Aiutata nella sua caccia da alcune ex compagne di carcere, Geum-ja si trasforma da vittima a carnefice e coinvolge i genitori dei bambini uccisi in un rito collettivo di vendetta alla Durrenmatt. Solo dopo aver eliminato il rosso del tanto sangue versato, potrà offrire, non a se stessa, ma alla figlia il tofu bianco.
La duplice vendetta è compiuta: quella personale, per aver dovuto scontare il carcere per un delitto non commesso e quella sociale per vendicare i bambini uccisi dal pedofilo.
Lo schema narrativo del film è simile a quello dei due film precedenti: rapimento – prigionia – vendetta personale ed efferatissima, il ritmo è coinvolgente e la fotografia bellissima, ma la "dolce" Geum-ja, spietato angelo vendicatore, non riesce ad avere il fascino malinconico e crepuscolare di Old Boy, così come non sa trasmettere ai cinefili la passione coinvolgente di un’altra grande eroina della vendetta: la Jeanne Moreau del bellissimo
La sposa in nero di Truffaut (dal romanzo di Woolrich!) e nel complesso il film appare meno compatto e rigoroso dei precedenti, forse perché il finale di speranza incarnato dalla figlia appare troppo in contrasto con il mondo spietato e violento che la trilogia rappresenta. Ma il regista ha affermato: "Questo è il capitolo conclusivo della trilogia, non volevo concluderlo in maniera troppo violenta e gravida di odio. Vi sorprenderà…"

Cristina Menegolli - MC magazine 14 - ottobre 2005