La terra dell'abbondanza (The Land of Plenty)
Wim Wenders - USA 2004 - 1h 54'

"Meglio i dolori della pace che l’agonia della guerra"

da Film Tv (Bruno Fornara)

     Buona notizia. Il Wenders di La terra dell’abbondanza" non è quello dei suoi lontani tempi migliori, ma non è neppure quello noioso degli ultimi tempi, guru e predicatore. E’ un Wenders inaspettato, con una visione particolare e personale dell’America: che non è la biblica terra della pienezza dove scorrono latte e miele. Il titolo del film è figura retorica di inversione e antitesi. Nell’America di Downtown Los Angeles, con i poveracci senza casa che dormono sotto i cartoni sui marciapiedi, si incontrano l’invasato e il paranoico Paul e l’idealista e umanitaria Lena. Il film sta in questo triangolo: una città abitata dagli ultimi degli umiliati, un veterano del Vietnam che continua a condurre la sua guerra contro nemici che stanno dappertutto e complottano contro la libertà del suo paese, una giovane donna che ha vissuto in Africa e in Medio Oriente e che adesso, tornata in patria, vuole dedicarsi ai dannati della sua terra. I due sono zio e nipote, non si conoscono, cominciano a sfiorarsi, si trovano insieme a scoprire cosa c’è dietro l’omicidio di un povero pakistano. E dietro non c’è il complotto mondiale che Paul sospetta. C’è soltanto il naufragio casuale di una vita oscura e sfortunata come tante. Wenders si ritrae, lavora su personaggi e luoghi, stringe il quadro, fa dell’America del dopo 11 settembre il paese dell’angosciante attesa di una nuova catastrofe, terra di povertà, di isolamento paranoico e di slanci ideali. Di città spettrali con una Missione come ancoraggio provvisorio e di un deserto con un’altrettanto fantomatica cittadina, quattro baracche, dove le storie finiscono per dissolversi, dove Paul e Lena cominciano a ritrovarsi prima di partire in pellegrinaggio verso Ground Zero. Dice Paul che quel buco nero nel cuore dell’America se lo immaginava più grande. Lena gli chiede di ascoltare il silenzio. E Leonard Cohen canta la "title song". Niente prediche. Ripartire dal poco. Affezionarsi a un’immagine vibrante, come quella di un colibrì magicamente sospeso nell’aria.

da Il Sole 24 ore (Roberto Escobar)

     Non c’è niente che non sia come dev’essere, nel reduce dal Vietnam Paul (John Diehl). Ha quel che si dice le physique du role, il protagonista di La terra dell’abbondanza. È elegante quel che basta per stare in un film di Wim Wenders, o almeno del Wim Wenders dell’ultimo quindicennio (con le belle eccezioni di Buena Vista Social Club, del 1998, e di The Blues - L’anima di un uomo, del 2003). Per quanto viva tutto il giorno rintanato nel suo furgone, respirando polvere di strada e fumo di sigaretta, i suoi abiti casual non perdono quell’aspetto fra il trasandato e il sartoriale che fa la differenza tra un barbone e un barbone comme il faut. D’altra parte, quanto all’etica, nel senso della visione del mondo, dei valori, degli ideali, Wenders e il co-sceneggiatore Michael Meredith non si fanno mancare niente. A partire da un soggetto di Scott Derrickson e dello stesso Wenders, i due prendono lo stereotipo secondo cui gli Usa sono il luogo più felice del nostro povero mondo, e lo capovolgono. Così, la terra dell’abbondanza, appunto, si popola di senza tetto e barboni (questa volta, però, senza accessori sartoriali). Forse preoccupati di non sfigurare nel confronto con Fahrenheit 9/11 ma privi della puntuta forza polemica di Michael Moore, e della sua irruenza coraggiosa‚ i due sgombrano il campo da ogni sfumatura. Il plenty. del titolo originale diventa così un susseguirsi di miseria, una landa popolata di homeless.
E homeless è anche Paul, in senso letterale e in senso traslato. Alle sue spalle, secondo una sindrome che al cinema ben si può dire di Rambo, c’è la guerra in Vietnam: una guerra non solo perduta, ma anche delegittimata dall’immaginario degli anni 70, e in primo luogo proprio dal cinema d’America. Per questo, per gran parte del film, il povero Paul gira per le strade della metropoli, senza mai acquietarsi. In ogni luogo è fuori luogo, esule da una casa/patria che s’è dissolta nella giungla asiatica. Ora tuttavia - ecco la sindrome di Rambo‚ l’attacco alle Twin Towers lo induce a capovolgere quest’angoscia da sconfitta in una euforia di vittoria.
In Vietnam, dice alla nipote Lana (Michelle Williams), noi li abbiamo fermati. E intende: i sovietici. Li abbiamo costretti a perder tempo, aggiunge, così non si sono impadroniti del mondo, prima che arrivasse il crollo dell’impero. Ovviamente, né Wenders né Demckson condividono questa filosofia della storia piuttosto abborracciata. E però ci costruiscono su tutta la psicologia e appunto l’etica del loro personaggio, nel tentativo di renderlo emblematico.
Purtroppo, come spesso accade, tra l’emblematico e il superficiale finisce che la distanza si fa breve. Ad accorciarla, in La terra dell’abbondanza partecipa anche una sceneggiatura per così dire provvidenziale. Ossia: una sceneggiatura in cui accade tutto quel che serve, e proprio quando serve. Con una catena di coincidenze il cui vantaggio è di semplificare la vita agli autori, evitando loro la noia di inventarsi una storia credibile, nel film continuano a intrecciarsi i casi di Paul, Lana e Hassan. Come se in cielo ci fosse un dio degli sceneggiatori, nel film non c’è mai la necessità di guardarsi attorno, di fare i conti con la verosimiglianza e la sua fastidiosa complessità. Le tre vite filano diritte e veloci nella stessa direzione, incontrandosi appunto provvidenzialmente in un colpo d’arma da fuoco. Insomma, Wenders ha da dimostrarci il come e il perché della paura diffusa negli Usa. È ha anche da dimostrarci come e il perché del superamento e anzi proprio della “redenzione” di e da questa paura. Così, porta il suo Paul con tutta la sua euforia paranoica fino alla confutazione della sua proiezione di colpa sull’arabo (in realtà, un pakistano), fino alla “scoperta” dell’autoinganno...

da Sette (Claudio Carabba)

     Wim Wenders, il tedesco solitario legato all’America dall’odio e dall’amore, torna sui tetti davanti al «Million Dollar Hotel», il rifugio dei vagabondi di Los Angeles. La fame e la paura hanno sempre abitato nelle perdute periferie della grande città e ora, dopo l’11 settembre, il sospetto e la violenza sono aumentati.
Al centro de
La terra dell’abbondanza ci sono uno zio soldato, allucinato dalle memorie del Vietnam (il bravo John Diehl), e una nipotina (la morbida Michelle Williams) consacrata al volontariato. Come spesso gli capita, Wenders pasticcia con la storia, che rischia di scappargli di mano. Eppure resta profondo e originale lo sguardo di questo regista viaggiatore, capace di fissare in una sola inquadratura l’angoscia contemporanea.

TORRESINO - ottobre 2004