The Search
Michel Hazanavicius - Francia 2014


Cannes 67- In concorso

    Vincitore di cinque oscar nel 2012 con l’incredibile, raffinato muto in bianco e nero The Artist, il regista francese Michel Hazanavicius avrebbe potuto, per sua stessa ammissione, chiedere ai produttori qualunque cosa, anche in termini di budget. Ecco che invece sceglie di cimentarsi su un tema scabroso e mai affrontato da nessuno prima al cinema, la seconda guerra cecena del 1999-2000, tra l’altro diventato di scottante attualità con le recenti vicende ucraine. Da sempre attratto dal tema dei drammi umani e sociali scatenati dalle guerre moderne e le cui vittime sono per l’80% civili, Hazavinicius (già sceneggiatore e produttore alcuni anni fa di un documentario sulle stragi in Ruanda che si intitolava “Ammazzateli tutti!”) si ispira qui molto liberamente ad un film del 1948 di Fred Zinnemann (dallo stesso titolo, ma uscito in Italia come “Odissea tragica”) incentrato su due storie parallele: da una parte una madre, sopravvissuta ai campi di sterminio, che cerca disperatamente nelle rovine della Germania nazista il figlio, dall’altra un bambino smarritosi nello stesso inferno senza parlare una sola parola di inglese o tedesco, il quale alla fine viene accolto da un soldato americano (un giovanissimo Montgomery Clift), che, incapace di trovarne la famiglia, giunge a pensare di adottarlo e portarlo con se negli USA. Nel film di Hazavinicius siamo invece in Cecenia: il bambino Hadji, sopravvissuto all’assassinio dei genitori, comincia una sua fuga muta tra le rovine del paese, inutilmente cercato dalla sorella maggiore Raissa, giunge attraverso varie vicende a essere quasi adottato da Carole (Berenice Bejo, nella vita reale moglie del regista), un’osservatrice EU che si batte strenuamente per portare a conoscenza di un’ignava Europa il dramma ceceno. L’originalità del regista e ciò che dà un respiro del tutto nuovo alla vicenda è l’introduzione di un altro, speculare personaggio, Kolia, il giovane russo che, posto di fronte alla scelta tra il carcere per un piccolo reato di droga e un servizio militare forzato, sceglie di arruolarsi e, attraverso una serie allucinante di violenze e forme di nonnismo da parte di superiori e compagni, raggiunge l’annichilimento morale trasformandosi in assassino di civili e addirittura giungendo a spogliare i cadaveri dei compagni.
Il finale melodrammatico, in cui Raissa - dopo il ritrovamento di Hadji - decide di rimanere come maestra nel centro di accoglienza, è splendidamente bilanciato dalla conclusione della vicenda parallela; scopriamo così che la telecamera tremolante che in un profluvio di improperi riprendeva la morte dei genitori di Hadji era la stessa brandita da Kolia al colmo della sua follia omicida.
Melodramma? Certo che sì, ma anche grande cinema tradizionale, coinvolgente, ben strutturato, che tenta onestamente di collegare i grandi temi dell’umanità a una vicenda umana in grado di emozionare gli spettatori (dice la Bejo: il cinema non ha bisogno di supereroi, ma di storie reali). La complessità della tragedia cecena non è ovviamente facile da spiegare nel breve spazio della trama di un film; resta la ferma intenzione di Hazavinicius di contestare la tesi russa del popolo ceceno come terrorista tout court e il risultato di un film in grado di farci riflettere sui grandi temi dell’attualità.
Bello il personaggio di Hadji, vera e propria reminiscenza di altri personaggi bambini nella storia del cinema, da Charlie Chaplin in avanti. Accolto tiepidamente in sala con anche qualche fischio e apertamente contestato alla proiezione per la stampa dai giornalisti russi, il film, arriverà nelle sale italiane in autunno.

Giovanni Martini - maggio 2014 - pubblicato su MCmagazine 36