Thy Womb (Sinapupunan)
Brillante Mendoza - Filippine 2012 - 1h 40'

    

    Thy Womb aggiunge un altro tassello al grande affresco del suo paese, che il regista filippino Brillante Mendoza sembra perseguire con la sua opera. La storia è ambientata nel villaggio Sitangkai, nelle isole Tawi Tawi al Sud delle Filippine, abitate da una minoranza musulmana: i Bajau, un popolo con cultura e tradizioni diverse dal resto del paese, che vive in case su palafitte (lepa-lepa), di pesca e di artigianato, in particolare della raccolta di alghe, che vengono colorate e intrecciate per farne coloratissime stuoie, tra mercati sull’acqua e feste tribali. Qui vive una donna ormai matura Shaleha (interpretata da una intensa Nora Aunor, star del cinema filippino), che non può avere figli e alterna il lavoro di tessitrice con il ruolo di levatrice. Per appagare il sogno del marito di avere un figlio maschio ed essere così benedetta da Allah, decide di accompagnarlo nella ricerca di una nuova moglie, che possa dargli un erede. Ma la futura nascita avrà per lei conseguenze drammatiche.
Con il suo cinema, dove il confine tra fiction e documentario diventa impercettibile nel flusso di immagini dal ritmo lento e allucinatorio, scandito dalla musica Tawi Tawi, registrata dal vivo, Mendoza vuole mettere ancora una volta in evidenza, come già aveva fatto nei bellissimi Kinatay e Lola, le contraddizioni del suo paese: bello e ricco di risorse, ma imbrigliato da una crisi economica e da una cultura arretrata. L’autore parla di questo luogo come di “un tranquillo inferno in un paradiso….una testimonianza di un conflitto del passato rimasto irrisolto nel presente.”
    

Il film si apre e si chiude con una scena di parto (a cui allude anche il titolo). Nella prima vediamo la protagonista, che, nel suo ruolo di levatrice, con l’assistenza del marito, fa nascere un bambino. L’opposizione fertilità – sterilità è già messa in campo e carica la scena, peraltro molto forte per l’uso del primissimo piano, di emozioni contrastanti.
La sequenza finale, analoga nella costruzione dell’inquadratura, nella quale Shaleha fa nascere il bambino della nuova moglie, mette in scena lo stesso contrasto, qui maggiormente sottolineato metaforicamente con una forte connotazione di perdita dal particolare, che irrompe nella scena-madre, della violenta uccisione del pesce sotto la casa.

Tutto il cinema di Mendoza, e questo film in particolare, è fatto di ampie visioni d’insieme, che invitano lo spettatore ad immergersi nella bellezza dell’inquadratura, fino a che un brusco movimento di macchina o una restrizione del campo o uno stacco rivelano dettagli inquietanti. Quella di Mendoza è sempre un’immagine aperta, che cerca e trova punti di fuga. La macchina da presa, nel seguire gli spostamenti dei personaggi, indugia su spazi bellissimi, sulle superfici dei corpi, sui colori sgargianti degli abiti, delle stuoie, generando una fascinazione contemplativa e nello stesso tempo una sensibilità per il frammento, per l’imprevisto, che “entra” nel campo visivo ora con funzione metaforica ora come improvvisa irruzione del reale. L’attacco dei pirati, che depredano Shaleha e il marito della loro misera pesca, le tracce di mitragliatrice sulle pareti interne della chiesa cattolica, le sortite violente dei soldati fanno emergere un’eco minacciosa di violenza, che, pur invisibile ai nostri occhi, condiziona la vita apparentemente tranquilla di queste persone. L’inaspettata apparizione del bufalo, trasportato in una barchetta, è una visione quasi onirica, cui segue quella del terrificante sgozzamento dell’animale: la cruda realtà dei Bajau entra nella finzione cinematografica, caricandosi di una connotazione metaforica, che ha la forza del montaggio delle attrazioni eisensteiniano.
Al buio pesto di Kinatay e al grigio piovoso di Lola (altro film in cui il tema dell’acqua e della maternità era centrale) in questo film Mendoza contrappone i colori smaglianti del cielo, del mare, degli abiti, degli oggetti, fotografati magistralmente dal suo storico operatore Odyssey Flores, che, con sguardo documentaristico penetra in questa realtà marginale del suo paese e pedinando gli spostamenti dei due protagonisti, riesce a fondere insieme uomo e natura, una storia insolita e il mondo, dentro cui è potuta nascere, un mondo in cui bellezza e violenza convivono strettamente.

Cristina Menegolli - ottobre 2012 - pubblicato su MCmagazine 33