Ti amerò sempre (Il y a longtemps que je t'aime)
Philippe Claudel – Francia 2008 - 1h 55'

  Libera dopo quindici anni di prigione, Juliette riappare nella vita della sorella e trova ospitalità presso di lei; rischiando di farne vacillare l'equilibrio famigliare. Tormentata da un segreto atroce, Juliette è una donna che ha rinunciato a sedurre e che rifugge dai contatti umani. Non tutto è perduto, però: Ti amerò sempre, esordio nella regia del romanziere Philippe Claudel, è la storia di un lento e laborioso, ma anche dolce, ritorno al mondo. Pian piano la donna riuscirà a venir fuori anche da un altro carcere - senza sbarre - in cui era ancora rinchiusa dopo l'uscita dalla cella. Non diremo qui il motivo della lunga reclusione di Juliette. Ciò che interessa davvero il neo-regista, in realtà. non è sorprenderci: è mostrarci l'evoluzione di un personaggio femminile devastato ma pudico, infelice eppure sobrio, interpretato con grande finezza da Kristin Scott-Thomas film successivo in archivio. Senza un filo di trucco, l' attrice si espone a una serie di primi piani rischiosi. Certi dialoghi sono un po' troppo "scritti", però le espressioni del suo volto, quando tace, dicono molto di più.

Roberto Nepoti - La Repubblica

    Una donna segnata da una colpa terribile torna dalla sorella dopo esser stata quindici anni in prigione. In comune hanno solo ricordi. Quando la primogenita è andata dentro, l'altra era quasi una ragazzina. Ora tutto è cambiato. La più giovane, Léa (Elza Zylberstein, perfetta) ha un marito, un suocero che non parla, due figlie adottive. «Non è che non potessi avere bambini, è che non mi sentivo di averne uno dentro la pancia». Si capisce: la sorella è stata condannata per aver ucciso il figlio di sei anni. Nel frattempo è stata annientata. Dal dolore, dalla famiglia, che ne ha cancellato ogni traccia, dalla società che oggi la rifiuta.
Ma tutto questo lo scopriamo poco a poco. Quello che vediamo all'inizio è soprattutto il nulla, il vuoto, l'abisso che si porta dentro Juliette (una Kristin Scott Thomas assolutamente prodigiosa). Un abisso che il film lentamente esplora e prosciuga, come una palude. È il lato migliore dell'esordio di Philippe Claudel, scrittore già molto noto (il suo romanzo più famoso è Le anime grigie), arrivato al cinema per raccontare una storia cui la pagina andava stretta. Ed è proprio la partitura di tempi, incontri, falsi movimenti in cui si iscrive la lenta rinascita di Juliette, il coro di personaggi che la circonda ora soffocandola ora facendole quasi da specchio, che avvince e emoziona. Un poliziotto mite e loquace, ma più disastrato di lei; un estraneo rimorchiato e liquidato al volo (scena impagabile); una nipotina invadente; la madre affetta da demenza che la tratta da bambina. Mentre le inevitabili spiegazioni circa quel delitto d'amore suonano meno intonate. Forse perché il cuore del film è altrove. Non nei fatti, ma nella trama impalpabile delle loro conseguenze. Nella distanza invalicabile che separa Juliette dal resto del mondo e forse da se stessa (solo un professore che per anni ha insegnato in carcere, come Claudel, sembra capire senza giudicarla). Non era facile calarsi in questa dimensione. Claudel e le sue attrici lo fanno con coerenza e coraggio. Facendosi perdonare un paio di scivolate; e un'insistenza contro Parigi e le sue mode che a tratti - vedi il pretestuoso "processo" a
film precedente in archivio Rohmer - sfiora la retorica.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero



promo

Juliette (Kristin Scott Thomas) torna a Nancy dopo aver trascorso 15 anni in prigione. Ritrovata Léa, sua sorella minore che l'accoglie in casa sua, Juliette vive però rinchiusa in un'altra prigione, fatta di dolore e di segreti incoffessabili. Il calore degli affetti l'aiuterà in un lento, laborioso, ma anche dolce ritorno al mondo. Dialoghi rarefatti e atmosfere malinconiche: una storia di donne, sulle donne, sulla loro forza interiore, sulla loro capacità di ricostruirsi e di rinascere.

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