Finita
l’euforia da
oscar, torniamo a parlare di cinema-in-sala e godiamoci lo spettacolo,
perché in cartellone ci sono due splendidi esempi di cinema-meraviglia,
quel cinema che stupisce e diverte, stimola l’intelletto e suscita emozione:
Toy Story e Casinò costituiscono l’apice di un’interpretazione
più che mai moderna di un corpus, quello cinematografico, che con cent’anni
alle spalle ancora riesce a far discutere su preponderanza di forme/contenuti,
su classificazioni schematiche in merce e arte, su scandali moralistici
tra etica ed estetica.
Cominciamo
con la “puerilità” e la “freddezza” di
Toy
Story, due accuse
possibili che poggiano sulla semplicità fantastica del racconto e sulla
costruzione tecnica di questo non-cartone animato, distribuito (ma non ideato)
dalla Disney, che spiazza le nostre abitudini (narrative e prospettiche) con un
gioco di personaggi e situazioni del tutto elaborati al computer e dirompenti
nella loro vitalità scenica: non si può non solidarizzare con Woody, il
simpatico pupazzo-cowboy, e con Buzz, lo Space Ranger suo amico e antagonista,
mentre tramano con altri fantastici giocattoli-viventi un’emozionante esistenza
parallela che si anima, segreta e divertente, non appena gli esseri umani della
storia (personaggi minori!) girano lo sguardo dall’altra parte. Tra balocchi
gelosi ed eroici soldatini, Toy Story riesce ad elaborare un’avventura
elettrizzante che filosofeggia, con sorridente saggezza, sul ruolo implicito dei
giocattoli nell’infanzia di tutti e sul simbolico configurarsi delle loro
fisionomie (e psicologie) rispetto ai modelli umani dell’essere e
dell’apparire...
Tanto
Toy Story è divertente ed amabile, tanto Casinò
di Martin
Scorsese si rivela monumentale opera al nero "conclusiva"
(il film chiude una trilogia intrapresa con Mean Streets e Quei
bravi ragazzi), sconvolgente nella sua cupa brutalità,
invischiato com'è, per suggestività diegetica, nel cinismo
esistenziale di un ambiente umano dove successo, ipocrisia e avidità
sono i valori più edificanti e dove la fiducia in se stessi resta
l'unico baluardo contro le disillusioni dell'amicizia, dell'amore, della
vita. Tra degradazione morale ed efferata violenza, tra l'estasi del
gioco d'azzardo e la virulenza della vendetta, Scorsese non perde però
il lume di un discorso filmico che non si lascia soggiogare dall'ambiguità
della materia narrativa, ma la disvela, la espone crudamente, la imbriglia
in una teorizzazione rappresentativa che gioca bizzarramente tra forme
e contenuti (le continue iperboli visive del suo stile), tra fluidità
narrativa e istanze diegetiche (il subdolo concatenarsi delle voci fuori
campo), tra etica del racconto ed etica della comunicazione. A chi oserà
confrontarsi con le tre ore ispirate e violente di Casinò raccomandiamo
di fare attenzione alla scena iniziale: tra lealtà e fiducia
disattese, come si rapportano, in un film così complesso, l'arte
figurativa di Scorsese e le aspettative dello spettatore?
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