Toy Story - Il mondo dei giocattoli  John Lasseter - animazione USA 1995 - 1h 17'
Casinò 
Martin Scorsese - USA 1995 - 2h 57'


     Finita l’euforia da oscar, torniamo a parlare di cinema-in-sala e godiamoci lo spettacolo, perché in cartellone ci sono due splendidi esempi di cinema-meraviglia, quel cinema che stupisce e diverte, stimola l’intelletto e suscita emozione: Toy Story e Casinò costituiscono l’apice di un’interpretazione più che mai moderna di un corpus, quello cinematografico, che con cent’anni alle spalle ancora riesce a far discutere su preponderanza di forme/contenuti, su classificazioni schematiche in merce e arte, su scandali moralistici tra etica ed estetica.
Cominciamo con la “puerilità” e la “freddezza” di Toy Story, due accuse possibili che poggiano sulla semplicità fantastica del racconto e sulla costruzione tecnica di questo non-cartone animato, distribuito (ma non ideato) dalla Disney, che spiazza le nostre abitudini (narrative e prospettiche) con un gioco di personaggi e situazioni del tutto elaborati al computer e dirompenti nella loro vitalità scenica: non si può non solidarizzare con Woody, il simpatico pupazzo-cowboy, e con Buzz, lo Space Ranger suo amico e antagonista, mentre tramano con altri fantastici giocattoli-viventi un’emozionante esistenza parallela che si anima, segreta e divertente, non appena gli esseri umani della storia (personaggi minori!) girano lo sguardo dall’altra parte. Tra balocchi gelosi ed eroici soldatini, Toy Story riesce ad elaborare un’avventura elettrizzante che filosofeggia, con sorridente saggezza, sul ruolo implicito dei giocattoli nell’infanzia di tutti e sul simbolico configurarsi delle loro fisionomie (e psicologie) rispetto ai modelli umani dell’essere e dell’apparire...
Tanto Toy Story è divertente ed amabile, tanto
Casinò di Martin Scorsese si rivela monumentale opera al nero "conclusiva" (il film chiude una trilogia intrapresa con Mean Streets e Quei bravi ragazzi), sconvolgente nella sua cupa brutalità, invischiato com'è, per suggestività diegetica, nel cinismo esistenziale di un ambiente umano dove successo, ipocrisia e avidità sono i valori più edificanti e dove la fiducia in se stessi resta l'unico baluardo contro le disillusioni dell'amicizia, dell'amore, della vita. Tra degradazione morale ed efferata violenza, tra l'estasi del gioco d'azzardo e la virulenza della vendetta, Scorsese non perde però il lume di un discorso filmico che non si lascia soggiogare dall'ambiguità della materia narrativa, ma la disvela, la espone crudamente, la imbriglia in una teorizzazione rappresentativa che gioca bizzarramente tra forme e contenuti (le continue iperboli visive del suo stile), tra fluidità narrativa e istanze diegetiche (il subdolo concatenarsi delle voci fuori campo), tra etica del racconto ed etica della comunicazione. A chi oserà confrontarsi con le tre ore ispirate e violente di Casinò raccomandiamo di fare attenzione alla scena iniziale: tra lealtà e fiducia disattese, come si rapportano, in un film così complesso, l'arte figurativa di Scorsese e le aspettative dello spettatore?

ezio leoni - La Difesa del Popolo 7aprile 1996