Venere in pelliccia (La Vénus à la fourrure)
Roman  Polanski - Francia 2013 - 1h 36'
(anche in versione originale sottotitolata)


   Roman Polanski film precedente in archivio, nelle interviste, prende le distanze dal personaggio maschile e si dichiara estraneo alle suggestioni sadomasochiste mettendo molto l'accento sul divertimento che gli ha procurato l'avventura e sul tono ironico che ha cercato nel film. Sta di fatto che l'attore (e regista) Mathieu Amalric, cui è affidato il ruolo del regista teatrale in Venere in pelliccia, gli somiglia in maniera evidente. D'altra parte però, sempre intervistato, Polanski riconosce anche che nel rapporto tra regista e interprete c'è, per definizione, una componente sadomasochista: «il mio lavoro mi posiziona più vicino al personaggio del regista, ovviamente». (...) II regista polacco ha adattato la pièce omonima di David Ives che è una rivisitazione del romanzo del 1870 di Leopold von Sacher-Masoch. Dove, facendo largamente eco alla propria autobiografia, l'autore immaginava che un uomo, Severin, stipuli un contratto con una signora, Wanda von Dunajev, nella quale egli vede una dea e che anzi identifica con Venere, dal quale è previsto che la loro relazione diventi quella tra una padrona e il suo servo (con un nuovo nome: Gregor). (...) Come sappiamo le variazioni intorno all'archetipo sono state infinite. Nel cinema: da L'angelo azzurro a Viale del tramonto. Polanski, non nuovo ad avventure claustrofobiche, di teatro trasportato nel cinema, a pochi o pochissimi personaggi (da Cul de sac dove l'uomo viene come qui umiliato e femminilizzato a Rosemary's Baby, da Luna di fiele a La morte e la fanciulla, fino al più recente e magistrale Carnage da Yasmina Reza) e sempre con risultati sorprendenti e assolutamente all'altezza della sua fama geniale, crea qui uno dei suoi più riusciti incipit. Con un piano sequenza che penetra in un teatro malmesso e deserto, che sarà il luogo unico dell'azione. (...) Non è del tutto convincente l'intonazione non troppo spiritosamente femminista e 'giustiziera' che Polanski ha voluto dare all'epilogo. Incanta la perfezione d'intesa tra i due interpreti, ma per Emmanuelle Seigner il ruolo, magnificamente sostenuto, è stato un vero regalo d'amore. Quello di Polanski è forse il caso più esemplare di paladino della generazione ribelle che, senza perdere nulla dell'originaria vena trasgressiva, occupa oggi il centro della scena come uno dei più grandi cineasti viventi.

Paolo D'Agostino - La Repubblica

   ...Evitando prediche e banalità sulla guerra tra i sessi - quello 'femminista' è solo il lato più esteriore del film - per darci una riflessione vertiginosa e insieme esilarante sul mestiere dell'attore; sui doppi e tripli fondi nascosti in ogni vera interpretazione (a complicare il gioco di specchi, Amalric è quasi un sosia di Polanski giovane); sull'intreccio tra potere e seduzione che sottende ogni lavoro di messinscena (non si tratta solo di donna contro uomo, ma di attrice contro regista). Suprema ironia: contrariamente a quanto avrebbe fatto il 99 per cento dei registi di oggi, per riprendere questo duello che potrebbe anche essere un sogno, dominato regalmente da sua moglie Emmanuelle Seigner, Polanski ha usato una sola macchina da presa, non due o tre per poi scegliere al montaggio. E non è un dettaglio tecnico. E il segno di una supremazia che è il soggetto stesso di questo film irresistibile. Solo se visto in originale, vista la banalizzazione inferta dal doppiaggio italiano.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

   Si potrebbe parlare e scrivere di Roman Polanski per ore, tanto è essenziale, preciso e millimetrico il suo cinema. Più passa il tempo maggiore è la forza dei suoi dispositivi a orologeria, macchine infinitamente accurate. Questa ingegnosità, l'ingegneria cinematografica di un autore che tende all'essenziale senza mai essere perfetto, riguarda anche e soprattutto gli elementi della messa in scena che fatalmente coincidono con l'essenza stessa dei principi narrativi: unità di luogo e di tempo, stretta dialettica di personaggi. (...) Questa rincorsa all'essenzialità, questo spogliarsi di tutti gli orpelli inutili al fine di mostrare la precisa natura dei rapporti tra le classi sociali e tra i sessi, tutti rapporti di potere, è arrivata con Venere in pelliccia ad una efficacia che si trasforma, del tutto consapevolmente, in parodia, sottilmente sottesa ad ogni gesto, ad ogni parola detta e recitata, ad ogni sguardo lanciato. Non riusciamo a immaginare un passo più in là nella definizione di questo dispositivo, a meno che Polanski non voglia arrivare alla forma monologante, come una confessione definitiva, e fors'anche farsesca, che possa coincidere una volta di più e una volta per tutte con il sé che attraversa ogni sua opera. (...) Venere in pelliccia, dunque, è un Polanski allo stato puro, e non interessa se il dispositivo narrativo così sofisticato, cede in qualche punto, mostrando il limite di una messa in scena ardita per quanto semplice. Il film inizia con un «carrello» che avanza nel mezzo di un viale alberato in quel di Parigi mentre il cielo si fa scuro annunciando un temporale già compreso dalla musica di Alexandre Desplat (uno dei maggiori e più importanti autori di musica per film dei nostri giorni) che introduce il tema, l'ambiente e l'atmosfera. Poco dopo questo carrello polanskiano entra in un teatro sguarnito in un giorno dedicato al casting della «venere in pelliccia». Il regista è sul palco piegato al telefono, disperato per lo scarsissimo livello delle pretendenti. Sta per chiudere baracca quando «una di loro», sguaiata, fradicia, tatuata, sboccata irrompe nella scena pregando di poter essere provinata. Inizia il duello, condotto da Polanski con la maestria di chi tira di fioretto: un passo avanti e due indietro, attacchi ed esitazioni, schivate e affondi. Un balletto, una sfida, una meraviglia. La sguaiata pretendente al trono della Venere conquista posizioni e si cala nel ruolo riuscendo, con un'abilità sospetta che tradisce le sue origini macchiettistiche, a rovesciare le parti e, sotto l'egida di un Masoch indispettito dalla modernità, si trasforma da dominata in signora assoluta. Una magia, un incanto, un esercizio di intelligenza e ironia. Protagonista assoluta di questa performance è Emmanuelle Seigner, musa e sposa di Polanski, perfetta e irridente maschera di un masochismo al contrario che si fa beffe dell'uomo e del regista, vittima delle sue stesse idiosincrasie. E come sempre quando si vede un film di Roman Polanski, tutto è normale ma niente lo è. E questa è una sensazione che pochissimi registi al mondo riescono a trasmettere. Questo stare perfettamente in bilico tra il verosimile e l'immaginato, come fosse la traduzione possibile di uno stato mentale. Così quando la Venere sparisce alla fine del film, chiunque ha diritto di credere che non sia mai apparsa in carne e ossa, ma fruizione libera di una mente aperta.

Dario Zonta - L'Unità

   Dopo i quattro memorabili contendenti di Carnage, Polanski fa ancora economia e, sempre ispirato dal teatro che da sempre è sua linfa vitale, li riduce a due, classici contendenti: un uomo e una donna, anzi un regista e un'aspirante attrice. Il mondo esterno non esiste nel film in cui il regista sedimenta e metaforizza il suo da sempre acceso erotismo: siamo nella platea vuota di un teatro, il regista si appresta ad uscire, fuori piove, ma una ragazza, un po' cialtrona e anche stracciona, si fa avanti chiedendo audizione per la parte di Wanda in Venere in pelliccia (zibellino tartaro!). (...) Tratto dalla commedia di David Ives, in scena a Broadway dal 2010, ora edita nei Bur Rizzoli, il film è una bella boccata di aria chiusa, alla Polanski, gioco al massacro che ricorda i suoi sadomasochismi non sospetti (Cul de sac, Luna di fiele) e cita il finale di Che? la scena in cui la donna nuda sta in piedi soverchiando l'uomo. Nulla di volgare, siamo nella zona protetta dal genio registico e dal gusto claustrofobico degli ambienti e dei sentimenti: in 90', il regista confeziona un thriller d'amore e odio in cui le posizioni si ribaltano di continuo. Emmanuelle Seigner brava nella metamorfosi di vecchio rancore, ma la scoperta è Mathieu Amalric che si trasforma in un Polanski giovane, facendo in modo che il sudoku degli affetti si faccia più inestricabile con una terza presenza invisibile.

Maurizio Porro - Il Corriere della Sera





promo

Il drammaturgo Thomas (Mathieu Amalric) ha intenzione di mettere in scena una rappresentazione ispirata a un testo di Sacher Masoch ma, dopo una lunga giornata di audizioni, non riesce a trovare l'attrice a cui affidare il ruolo della protagonista. Convinta di essere perfetta per la parte, Vanda (Emmanuelle Seigner), una delle aspiranti protagoniste che con il suo essere volgare e cervellotica rappresenta tutto ciò che Thomas odia, gli si presenta a sorpresa e tenta di dimostrargli come nessun'altra sia adatta quanto lei. Durante il provino, Vanda dimostrerà di conoscere alla perfezione il testo dell'opera e il carattere del personaggio, di sapere a memoria tutte le battute. L'attrazione che Thomas matura nei suoi confronti si tramuterà ben presto in ossessione… Incanta la perfezione d'intesa tra i due interpreti, con Mathieu Amalric che si trasforma in un Polanski giovane ed Emmanuelle Seigner, musa e sposa di Polanski, perfetta e irridente maschera di un masochismo al contrario che si fa beffe dell'uomo-regista. Ma è fondamentale la "matura" regia di Polanski che sa capovolgere la claustrofobicità della premessa moltiplicando i piani della rappresentazione. Fra la realtà e il teatro, all'insegna di una ambiguità totale Venere in pelliccia è un arioso gioco di specchi a rimandi infiniti, più godibile se visto in originale, vista la banalizzazione inferta dal doppiaggio italiano...

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 LUX - dicembre 2013

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