Veronika Voss (Die Sehnsucht der Veronika Voss)
Rainer Werner Fassbinder - Germania 1982 - 1h 45'

Nella Monaco del 1955 un’attrice del cinema ormai sul viale del tramonto, per convincersi di potere ancora piacere agli uomini, attira a sé un modesto cronista sportivo, Robert Krohn, affascinato da quella bella e misteriosa Veronika Voss che gli si dà, in una casa abbandonata, al lume di candela. L'uomo ha frugato negli archivi e accertato che è stata una celebre star, ma le ha anche prestato del denaro. Perché Veronika ne avesse bisogno, Robert comincia a capire quando sa come in realtà la donna, divorziata dal marito, viva presso una falsa amica: una dottoressa Katz che la deruba d'ogni suo avere imbottendola di morfina. Con l'aiuto della propria amante Henriette, Robert tenta di salvarla, e prepara una trappola per la psichiatra (intanto due vecchi reduci dai lager sono stati indotti al suicidio), ma Henriette muore investita da un'auto. E senza volerlo affretta anche il suicidio di Veronika, alla quale la Katz ha sostituito la droga con sonniferi...

 

    Penultimo film di Fassbinder è una storia di seduzione e di angoscia, scritto dagli stessi di Maria Braun. Poiché dietro il nome della protagonista si nasconde la storia di Sybille Schmitz, l'attrice del Terzo Reich che si dette davvero la morte nel 1955, e si conosce l'ambizione di Fassbinder di continuare, dopo Lili Marleen e Lola, una storia simbolica della Germania attraverso lo spettacolo, il film andrebbe visto come un altro capitolo della vita tedesca. In realtà ha una riuscita modesta il suo tentativo di rappresentare il mito del cinema nell'età di Adenauer e di esprimere il dramma di un'attrice sconfitta con, sullo sfondo, la tragedia dei superstiti ebrei e il cinismo dei vecchi nazisti.
Dopo un inizio molto bello, che sembra riassumere il tema del film nel conflitto fra luce e ombra, nel destino dei commedianti, nella funzione della rappresentazione,
Veronika Voss, più esattamente I rimpianti di Veronika Voss, scade infatti nel complotto perverso, tinto di giallo e di orrore. Ciò che tuttavia lo fa apprezzare - e giustifica l’«Orso d'oro» conferitogli l'anno scorso al festival di Berlino - è la sapienza tecnica di Fassbinder, l'uso ammirevole del bianco e nero come nei film dell'epoca, l'impianto scenografico (con grande ricorso alle trasparenze), e l'interpretazione di Rosel Zech. Se si tiene il fiato è per una duplice ragione: perché il racconto corre come un treno, nonostante i caratteri contorti, tra le quinte irreali di un funebre labirinto splendidamente fotografato da Xaver Schwarzenberger, e perché il volto dell'attrice, ora radioso ora devastato dalla droga, trasmette tensioni fortemente emotive.
Mentre il proverbiale sarcasmo del regista è condensato nel finale, dove il suicidio della morfinomane ha per commento sonoro la musica jazz e la benedizione del Papa in piazza San Pietro...


Giovanni Grazzini –
Il Corriere della Sera

cinema invisibile TORRESINO gennaio-marzo 2008