Viaggio a Kandahar (Safar e Ghandehar)
Mohsen Makhmalbaf - Iran 2001 - 1h 25'


 

da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro)

    Un avvenimento: per primo, il regista iraniano Mohsen Makhmalbaf film successivo in archivio, con sensibilità lungimirante, coraggio e grande bravura, racconta in un film, Viaggio a Kandahar, come vivono le donne nell’Afganistan dei talebani. L’autore ricorda che un giorno una giovane donna afghana emigrata in Canada andò a trovarlo chiedendogli aiuto, dicendogli d’essere in viaggio per raggiungere in Afghanistan un’amica che non resisteva più e voleva uccidersi. La giovane donna, Nilofar Pazira, è diventata la protagonista del film, la guida attraverso un mondo inaccettabile: in Afghanistan oggi le femmine non possono uscire di casa senza un uomo al fianco né andare a fare la spesa; non possono studiare né hanno scuole; sono espulse dalla vita civile e politica; non possono mostrare la faccia, coperta da spessi tessuti traforati all’altezza degli occhi; non possono lasciarsi visitare dal medico né parlargli direttamente senza un intermediario maschio; non possono mandare i figli altro che alle scuole religiose, dove si apprendono soltanto il Corano e la nomenclatura delle armi. Dice il regista: «È un Paese senza immagini: non c’è la televisione, non esiste il cinema, i lineamenti degli uomini sono occultati dalla barba, i visi delle donne rimangono invisibili». Sono alcune delle cose che abbiamo imparato in quest’ultimo mese: ma una storia è più suggestiva d’una notizia, vedere (sia pure una ricostruzione) è più efficace che sentire o leggere, la forza della denuncia è moltiplicata dalla bellezza, perfezione, emozione dello stile. In Viaggio a Kandahar, poi, per la prima volta a illustrare questa realtà non è un occidentale appartenente a un’altra cultura. E’ un iraniano, non sospetto di pregiudizi, di propaganda né d’opportunismo: il film è stato girato nel 2000 e presentato nel maggio scorso al festival di Cannes. E’ un regista che, parlando dell’Afghanistan, parla un poco anche del suo Paese, dell’Iran dove (s’è visto pure nel film Il cerchio di Jafar Panahi) una donna non può andare in giro da sola, non può comprare un biglietto di viaggio, non può respingere bruscamente i fischi o le rozze galanterie maschili per strada, non può muoversi in automobile con un uomo che non sia suo parente, non può fumare in pubblico né indossare vestiti corti e colorati né avere la testa scoperta. Condizioni di vita simili non sono troppo diverse da quelle delle donne italiane nel Sud rurale del Paese negli anni precedenti la seconda guerra mondiale: povertà, regimi politici repressivi, ignoranza e oppressione religiosa danno sempre gli stessi risultati antifemminili. Ma Viaggio a Kandahar è molto lontano dalla denuncia sociopolitica o dalla propaganda. E’ innanzi tutto un bellissimo film. Sono in particolare bellissime alcune sequenze: la visita medica (della malata il dottore può vedere, attraverso un buco praticato nella tenda, soltanto un occhio o le labbra); gli uomini mutilati e azzoppati dall’esplosione delle mine che dal tendone della Croce Rossa corrono sulle grucce incontro agli elicotteri che lasciano cadere dal cielo le gambe finte, le protesi; la scuola maschile di Corano, vociante, dove i bambini dondolando su se stessi ripetono a voce alta i versetti per impararli a memoria; i ladri sempre in agguato («La miseria fa fare cose terribili»). Con il suo contrasto di bellezza perfetta e miseria umana straziante, Viaggio a Kandahar è una nuova testimonianza della grandezza del cinema iraniano, nato dal neorealismo italiano, nell’affrontare i problemi più aspri, nel rispecchiare la realtà con cuore ardente, intelligenza impegnata, estetica impeccabile: e con risultati di un’altezza inimitata.

 

da Film Tv (Bruno Fornara)

    Accolto a Cannes da Pareri contrastanti, il film dell'iraniano Mohsen Makhmalbaf (Pane e fiore, Il silenzio) arriva in sala nel brutto mezzo della guerra contro i talibani, quando la città di Kandahar è sotto le bombe. A mettersi in viaggio per Kandahar è Nafas, una giornalista di origine afgana che lavora in Canada. Nafas vuole tornare clandestinamente in patria per cercare la sorella che é rimasta laggiù e che le ha annunciato la decisione di volersi suicidare durante l'eclisse di sole dell'11 agosto1999. Si eclissa il sole nell'Afghanistan delle donne costrette a seppellirsi sotto gli impenetrabili burka e degli uomini che, mutilati dalla guerra, inseguono gambe artificiali paracadutate da un elicottero. ll film si schiera a favore di una causa più che giusta: la liberazione di un popolo, soprattutto delle sue donne che, anche quando vanno dal medico, in questo caso un nero americano!, non possono parlargli direttamente né, figuriamoci, farsi visitare. ll punto é, però, se il film riesca ad essere credibile. L'impressione è che troppo spesso, sulla tragedia, abbiano la meglio l'atmosfera da cartolina, i bei colori, il bel deserto e metafore a manciate. Film impegnato, tentazioni retoriche, causa umanitaria, virtuosismi decorativi: un miscuglio perlomeno ambiguo. 

LUX - novembre 2001