Zelig
Woody Allen - USA 1983 - 1h 29'



 

   Chi è Zelig? Tutti e nessuno. Biograficamente (?) nasce come figlio di un attore yiddish (conosciuto per la sua interpretazione di Puck nella "versione ortodossa di Sogno di una notte di mezza estate") e si rivela al mondo degli anni Venti come "il camaleonte umano", un essere incredibilmente mutevole capace di (o meglio 'costretto a') assumere le caratteristiche fisiche e mentali di chi gli è vicino. Così Leonard Zelig è un perfetto giocatore di baseball in mezzo ai campioni dello Yankee Stadium, un trombettista nero in una banda di jazz, ha l'aspetto di un pellerossa tra i pellerossa e quello di un ebreo (pizzetto compreso) tra gli ebrei, è un grande tenore sul palcoscenico della lirica, si gonfia fino a 120 chili vicino ad altri obesi... Diventa popolarissimo, in positivo come divo-schizofrenico e, in negativo, come super imbroglione (più donne lo reclamano come marito e padre dei loro piccoli), i luminari della psicanalisi rimangono sbalorditi e disorientati (negli incontri di osservazioni clinica il proteiforme paziente 'diventa' a sua volta uno psicanalista), il mondo lo vede apparire e scomparire nelle trame della storia: è accanto ad Hitler nei comizi e nelle parate del Nazionalsocialismo, appare persino sulla terrazza di San Pietro, tra il Papa e i cardinali...
I tentativi più avanzati di comprensione del suo caso sono le "famose sedute della stanza bianca" in cui la dottoressa Fletcher lo accudisce con interesse ed affetto. Si giunge ad un periodo ottimale di miglioramento, ma il disagio del XX secolo è sempre incombente e la ricaduta inevitabile: Zelig, prototipo umano di intima insicurezza e di bisogno di osmosi civile, quanto abita nel mito e quanto nel vissuto quotidiano? Realtà e finzione, spettacolo tecnicistico e problematica sociale sono essi stessi in
Zelig soggetti mutanti: tutto girato in bianco e nero con una eccezionale meticolosità nel far coincidere l'insieme delle sequenze (in una contraffazione perfetta di taglio cinematografico, grana e striature della pellicola) con i frammenti originali degli archivi dei cinegiornali, il film si apre al colore solo per le suggestive "testimonianze" di personaggi celebri quali Susan Sontag, Saul Bellow, Bruno Bettelheirn e scorre via leggero e acuto in un'ora e venti di proiezione, stimolando in continuazione lo spettatore e disorientandolo (nella linea dell'approccio con la personalità di Zelig) per il surplus d'intelligenza e di ironia. Il mutante Allen (la sua interpretazione di Zelig è per caso metalinguistica ed autobiografica? Certo è sorprendente la sua varietà di generi da
Prendi i soldi e scappa a Manhattan, da Interiors a Una commedia sexy. E poi la dottoressa Fletcher non è forse Mia Farrow, la sua compagna attuale?) ci dà, tra le misuratissime gags, una parabola universale sulla crisi di socializzazione dell'essere umano, specie se riferita allo spersonificante appiattimento computerizzato di questi anni 80. Ma pure sbeffeggia la mitica intraprendenza nell'adattarsi dell'"american hero" (col Moby Dick di Melville sotto il cuscino) e forse denuncia pure le sofferenze di adeguamento della cultura ebraica Certo il prismatico Zelig è cinema a tutto tondo, finalizza la tecnica all'idea in una ambiguità davvero camaleontica, si rispecchia in se stesso e nel proprio abbozzarsi si compie: come ha asserito Pauline Kael "quando finiscono questi deliziosi pseudodocumentari e ci si aspetta che incominci il film, ci si accorge che quelli erano tutto il film". E retorica chiedersi se è un pregio o un difetto? Certamente è grande cinema d'autore.

ezio leoni - Espressione Giovani - novembre/dicembre1983