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Piero Tortolina:

il cinefilo che (non) volle farsi re

di Ezio Leoni e Nicolò Menniti Ippolito

       Lo si dovrebbe chiamare animatore culturale, ma la definizione, oltre ad essere in se e per se, un po’ paradossale, sarebbe riduttiva. Meglio allora usare il termine “cinéphile”, perché se c’è qualcuno per cui questo termine si giustifica nel suo uso letterale è proprio lui. Piero Tortolina è un personaggio chiave per quel che riguarda il rapporto tra Padova ed il cinema, eppure è anche un ombra, una sorta di fantasma. Se incontri qualcuno del mondo del cinema e dici che se di Padova, ti dice subito, “ah, Piero Tortolina …” eppure lui non è un critico, non compare in televisione, non viene intervistato, non gestisce associazioni o circuiti”. E’, come dire, un punto di riferimento, una sorta di nume tutelare, non sempre amato, ma riconosciuto dagli addetti ai lavori, sconosciuto a tutti gli altri. E del resto questa sorta di invisibilità probabilmente gli piace.
Chi è allora Piero Tortolina
? Una prima risposta è questa: è stato per alcuni anni il maggiore collezionista privato italiano di film; senza la sua cineteca molte cose in Italia non si sarebbero viste, senza la sua trasmissione televisiva anche trasmissioni simbolo come Fuori orario non sarebbero state le stesse. E questo potrebbe bastare. Ma sarebbe parziale. Un'altra risposta possibile è questa: è stato un protagonista (per Padova il protagonista principale) di quella stagione in cui i cineclub hanno trasformato il modo di vedere e di giudicare il cinema, affermando quel primato della visione, che la critica italiana nella quasi totalità non riconosceva. E qui il discorso è complessa, ma vale la pena di tornarci sopra.
Ma cominciamo dall’inizio. Piero Tortolina è nato nel 1927
, un po’ per caso a Canicattì, ma poi la sua vita è stata tutta padovana. L’interesse per il cinema è nato subito, inizialmente da spettatore, poi anche da lettore. La svolta è quando una rivista allora pubblicata, siamo alla fine della guerra, bandisce un concorso che assegna un premio di 1000 lire alla migliore recensione. Il giovane Tortolina, forte della sua passione, ci prova e vince una volta, poi due, poi tre, arriva a 5-6. Potrebbe essere l’inizio di una carriera da critico, ma saranno invece le sole critiche scritte nel corso di una vita dedicata in buona parte al cinema. Perché nel frattempo scopre che a Padova è nato il “Centro Universitario Cinematografico” e comincia a frequentarlo. Fa leggere le sue recensioni e Franco Venturini che ne era uno dei fondatori gli spiega che è come se fosse andato ad abitare in una casa prima di costruirla. Come hanno fatto tutti i critici –si potrebbe rispondere. Ma Tortolina è di una pasta diversa e decide che sì, deve cominciare a farsi delle basi, che deve vedere i classici, che deve leggere. E i classici grazie alla attività del CUC comincia a vederli, ed anche a programmarli perché nel frattempo è entrato nel ristretto gruppo di appassionati che gestisce il Centro. Mentre guarda film si laurea, in ingegneria, ma lo fa con una tesi sugli apparati tecnici delle sale cinematografiche. Perché – la parentesi è importante- Tortolina è un “cinephile” autentico, che del cinema ama e conosce anche la parte tecnica.
Dopo la laurea si tratta di decidere e Piero Tortolina prova ad occuparsi di cinema professionalmente. Chiede l’ammissione al Centro sperimentale e la ottiene. Dovrebbe diventare un tecnico del suono. Non lo diventerà mai. Prima di tutto perché al Centro Sperimentale nessuno sa nulla di tecnica del suono e quindi non insegnano nulla. Poi perché la borsa di studio è irrisoria e papà Tortolina non è propenso a finanziare questa avventura. Dopo un anno, dunque, Tortolina torna a Padova, a fare l’ingegnere ed insegnare elettrotecnica, ma il cinema non lo molla. A Roma ha imparato poco ma visto tanto, ospite permanente della Cineteca, visto che lezioni per il suo corso ce ne erano poche o nulle. Legge i Cahiers du cinema (di cui tra l’altro ha l’intera collezione), e vi coglie il nuovo spirito, così consanante a quanto piace a lui. Torna al CUC e quando arriva anche Lorenzo Codelli trova un compagno di avventure. Insieme programmano Hitchcock e i musical di Fred Astaire, John Ford e Nick Ray, ma anche il cinema giapponese e Godard. All’epoca, siamo negli anni sessanta, la cultura critica italiana è ancora molto ideologica e soprattutto molto letteraria. Giudica le storie, i contenuti, studia i film sulle sceneggiature, non percepisce molto l’aspetto cinematografico in se e per se, non parla di inquadrature e movimenti di macchina, non sa riconosce un 16 millimetri da un 35, è ancorata all’idea di cinema come succedaneo della letteratura. Ed invece la nuova cultura cinematografica lentamente permea di se i cineclub, dove il dibattito classico comincia a latitare, e, se c’è, comincia faticosamente a sottolineare aspetti propriamente cinematografici, anche se poi finisce per insaccarsi nel dato contenutistico.
Ecco, Piero Tortolina è uno dei protagonisti di questo svecchiamento, di questa rivoluzione. A Padova certamente, ma anche in Italia, e non è forse un caso se qualcuno dei critici che oggi hanno cinquant’anni e che sono stati protagonisti di una svolta decisiva, Enrico Ghezzi tanto per fare un nome, riconosce in lui un progenitore e soprattutto qualcuno che ha reso possibile vedere concretamente quei film di cui si parlava nelle riviste francesi, inglesi, americane.
Tra la fine degli anni sessanta e l’inizio del settanta col CUC Piero Tortolina avvia l’esperienza del Cinema 1, ovvero un cineclub che proietta due film al giorno e tutti i giorni. Tortolina lo programma, proietta film in lingua originale, le opere dei filmaker americani, in base ad un unico principio, che ruba ad Alberto Arbasino: “qui si fa cinema e non opere di bene”. Che significa che si proietta tutto ciò che piace, tutto ciò che è interessante e questo è l’unico criterio. Piero Tortolina è il primo, in Italia, a far rivedere i film di Busby Berkeley, il primo a dedicare il giusto spazio ai fratelli Marx e probabilmente a Jerry Lewis. Da solo? No, c’è il CUC dietro, gli altri membri del direttivo, ma lui è il boss, anche con qualche tendenza dittatoriale che non rinnega: “Io credo che in una associazione culturale non si possa agire democraticamente, non si può votare se fare un film o meno. Democraticamente si dà la responsabilità a qualcuno, che poi segue la propria linea avendo carta bianca. Se non piace lo si caccia”. Per cinque anni Tortolina sceglie i film e fa tornare i conti, scrive il programma del Cinema 1, che è anche un modo per dire la propria opinione, per orientare, ma il programma stesso rimane rigorosamente anonimo. Tortolina rimane un’ombra. Dopo cinque anni Tortolina passa in secondo piano, altri si assumono il compito di programmare, e però comincia una nuova avventura. “Forse non so stare fermo” -dice oggi. Facendo due conti si rende conto che affittare i vecchi classici ogni due anni potrebbe non essere conveniente: perché semplicemente non comprarsi una copia e farla quante volte si vuole? Convince gli altri del CUC e cominci ad indagare. Scopre, a Padova, un vecchio magazziniere che conserva copie di vecchi film. Per pochi soldi li compra. Poi vuole continuare, l’occasione è buona, ma al CUC esitano, ci sono contrasti, ed allora i film li compra per se. Per amore soprattutto, per averli lì. Ma poi si accorge che i cineclub, i comuni, glieli chiedono, che si guadagna qualcosa e quel qualcosa lo reinveste in altri film. La rete si allarga, Tortolina compra in Italia scavando nelle cantine. Un episodio: “Da Verona Guidorizzi mi chiedeva sempre di comprare una copia di
Lola Montes ed io gli dicevo che l’avrei fatto volentieri, ma non la trovavo. Poi un giorno, da un vecchio distributore compro dei film e chiedo se è tutto quello che hanno. Mi dicono che è tutto. Ma siete proprio sicuri? Si, si, o forse c’è qualcosa in cantina, ma è allagata. Torno a casa, prendo gli stivaloni, e chiedo che mi facciano entrare in cantina. Trovo una miniera di vecchi film e, perfettamente conservata, una copia integra di Lola Montes. Così la febbre cresce e Tortolina comincia a comprare negli Stati Uniti film in lingua originale, che si vedono poi un po’ in tutta Italia: nei cineclub, nelle retrospettive, ovunque si proietti un certo cinema. Farli entrare in Italia non è facile, il collezionismo cinematografico non è contemplato dalla legge, e Tortolina qualche volta batte vie traverse, utilizzando in alcuni casi quello che è oggi un serissimo docente universitario americano come corriere clandestino. Arriva a possedere 1500 film, scelti uno per uno, ma la gestione sta diventando troppo onerosa. La Rai ricorre spesso ai suoi film, e il prestito diventa quasi un lavoro a tempo pieno, perché le copie magari tornano mutilate, le spedizioni devono partire due tre volte alla settimana, comprare richiede sempre più tempo. A questo punto Tortolina, con rammarico, decide di vendere. CI sono trattative col Comune di Padova, che vorrebbe far restare in sede il patrimonio, ma alla fine, e siamo al 1997, è la cineteca di Bologna a comprare tutto.
Avventura finita? No, c’è un altro capitolo. A Cattolica il Comune cambia la gestione del festival cinematografico. Chiama a dirigerlo Giampiero Brunetta. Lui esita, poi parla con Tortolina e decidono di accettare. E così per cinque anni il "cinéphile" affianca Brunetta nell’allestimento del festival. Regalano retrospettive ad Abel Ferrara e John Woo, prima che diventino icone da cinéphile e chiudono con un bilancio culturale, una volta di più, all'altezza della situazione.
E adesso? Piero Tortolina continua a guardare film, continua a leggere di cinema, fa un salto ai festival (a Bergamo soprattutto, a gustarsi le retrospettive), affila la sua lingua tagliente di fronte ai film che non gli piacciono, prova a sollecitare distributori ed esercenti verso titoli che meritano di essere valorizzati, si indigna perché a Padova il cinema sta male e la cultura latita e il cinema non va come dovrebbe. Resta come suo solito nell'ombra o meglio nella penombra... di una qualche sala che proietti cinema di qualità.

Regione Veneto/ Marsilio  - 2003