VENEZIA '96
Lo spirito del festival?
Più da coniglio che da leone

E se, guarda caso, uno dei nodi cruciali di questa ennesima, incerta mostra, fosse proprio la collocazione dei titoli nelle varie sezioni? La netta sensazione, uscendo da questa 53° edizione è quella di aver trovato pochi grandi film, molte opere dignitose ma ripetitive, una manciata di lavori freschi e vitali. E questi ultimi erano collocati, guarda caso, quasi tutti in Corsia di sorpasso. Un titolo significativo perché mano a mano che i film venivano presentati sempre più cresceva l'imbarazzo per l'occasione perduta di avere un sezione concorso meno stantia e più aperta la nuovo. Pellicole come Swingers (Doug Liman, USA), storia di giovani singles a caccia di donne tra sfacciato maschilismo e amara solitudine sentimentale, oppure Kolja (Jan Sverak - Repubblica Ceka) toccante escalation affettiva tra un maturo musicista e un bambino casualmente affidatogli, o ancora Lea, Fistful of Flies, De Jurk avrebbero meritato un posto di rilievo ben più dell'insulso Ilona arriva con la pioggia, dell'ambiguo Pianese Nunzio 14 anni a maggio o dell'assurdità fantaculturale di Francesco Maselli, Cronache del terzo millennio. Ma è sembrato che la parola d'ordine di Pontecorvo e soci sia stata una soltanto, "non rischiare". Così ecco nomi sicuri come Godard (For Ever Mozart o dell'incomunicabilità artistica), De Olivera, Lelouch e Iosseliani autori di rango ma, alla resa dei conti, sempre uguali a se stessi. Certo niente da dire contro Schlondorff, Mazzacurati, Jordan, Loach, Ferrara, ma possibile che non si potesse inserire qualche "sorpresa" pescando appunto dalla Corsia o dalla Finestra delle immagini o dalle serate speciali (perché non includere un film intenso come Shine, relegato a sfuggevole "film di chiusura"?), o cercando meglio in Africa e Asia (ci sarà stato ben qualcosa meglio di Ilona...) o non emarginando una firma come Franco Piavoli (Voci nel tempo) nel mediocre panorama della Settimana del Cinema Italiano.
Come se non bastasse ci si è messa la giuria che ugualmente non ha voluto rischiare premiando con ben due riconoscimenti un'opera come Michael Collins, ottimo film ma "rischioso" più nei contenuti (la dura lotta tra Inghilterra e Irlanda, tema ancor così scottante da far bloccare l'uscita del film in Gran Bretagna e in America) che nella costruzione cinematografica, vibrante nella prima parte, poco incisiva nel finale. Forse non si poteva premiare col Leone d'oro Loach, troppo compromesso politicamente nella sua accusa senza mezzi termini delle stragi USA in Nicaragua (ma Carla's Song è soprattutto una struggente storia d'amore), ma come dimenticare Basquiat, vera "scoperta" del festival e ottimo esempio di un discorso dell'arte (cinematografica) sull'arte (pittura), o lo straordinaria opera al nero di Abel Ferrara, The Funeral, che ha trovato le lodi unanimi di tutta la critica e che si è dovuta accontentare del ridicolo premio per il miglior attore non protagonista?
Insomma pure quest'anno usciamo da Venezia insoddisfatti anche perché neppure la strombazzata anima divistica del Festival ha funzionato al meglio: Dustin Hoffman e Robert De Niro (Sleepers) hanno fatto decollare alla grande la serata d'apertura, la coppia Tom Cruise-Nicole Kidman ha chiuso in bellezza, ma nel mezzo ben poca cosa. Andy Mac Dowell non ha infiammato gli animi, David Bowie ha disertato e se l'evento deve essere la pruriginosa presenza della Marini... Bambola è stato un vero scandalo, non tanto a livello morale (decisamente infimo) ma soprattutto per il tono artistico: uno squallore totale, un velleitarismo becero, una presenza allucinante per un festival che cerca credibilità e affermazione culturale.
Possiamo consolarci solo con un po' di narcisismo: avevamo riposto le nostre attese sulla possibile buona riuscita del nuovo cartone animato italiano La Freccia Azzurra. Abbiamo avuto buon fiuto: ci fosse stato, come una volta, un Leone speciale per la cinematografia per l'infanzia, stavolta la giuria non avrebbe potuto sbagliare!

e.l. La Difesa del Popolo 15 settembre 96


LEONE D'ORO:
Michael Collins di Neil Jordan

GRAN PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA: Brigands di Otar Iosseliani

MEDAGLIA D'ORO DELLA PRESIDENZA DEL SENATO: Carla's Song di Ken Loach

Coppa Volpi per il miglior attore protagonista: Liam Neeson (Michael Collins)

Coppa Volpi per la miglior attrice protagonista: Victoire Thivisol (Ponette)

Coppa Volpi per il miglior attore non protagonista: Chris Penn (The Funeral)

Osella d'Oro per la sceneggiatura: Profundo Carmesi

Osella d'Oro per la scenografia: Profundo Carmesi

Osella d'Oro per la musica: Profundo Carmesi

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Premio OCIC: ex aequo a The Funeral (Abel Ferrara) e Ponette (Jacques Doillon)

 

Venezia o degli autobus trasgressivi. Nel grande calderone del Pontecorvo-festival ciò che, simbolicamente, si è impresso nella nostra memoria sono due strani percorsi d'autobus, due sequenze che più di altre hanno "bucato lo schermo" lasciando tracce significative di quello che la freschezza stilistica può regalarci e di quanto sia fondamentale, in una panoramica cinematografica davvero propositiva, il coraggio di tentare vie nuove e sincere nel dialogo tra prove d'autore e scelte dei curatori.
Il primo bus a cui ci riferiamo, l'avrete già intuito, è il numero 72 di Glasgow, quello guidato da George (George Carlyle) che prende la strada tra le colline del Loch Lomond, per un'indimenticabile fuga d'amore in Carla's Song. La presenza di Loach al festival è stata una lezione di asciutta sensibilità romantico-politica: poco importano le sbavature della parentesi nicaraguese. Loach non ha paura di prendere posizione sui suoi ideali, non si preoccupa di costruire teoremi politici, non nasconde il suo disagio nel clima turistico che gli prende la mano, ma va dritto al sodo per raccontarci con straordinaria forza emotiva l'unico vero "lieto fine" possibile della "canzone di Carla".
Non con altrettanta intensità ma con un divertissement davvero sfacciato prende corpo la vicenda di De Jurk - Il vestito dell'olandese Van Warmerdam (lo vedrete sui nostri schermi nella seconda parte della stagione). Qui un coloratissimo abito femminile fa da "testimone" passando con assoluta improvvisazione narrativa da questo a quel personaggio, da una situazione ad un'altra. Tra le tante quella in cui una donna, inseguita da un focoso amante, riesce a fuggire montando sull'autobus di linea. Peccato che a bordo ci sia solo l'autista che, in perfetta sintonia con il nonsense narrativo della pellicola, dirotta l'autobus in aperta campagna e tenta di violentarla... Un film come De Jurk non è cero un film da premio, ma rappresenta, nella sua assurda coerenza stilistica, una delle facce del nuovo cinema europeo e avrebbe meritato ben più di tante opere mediocri di stare in concorso.
La forza trasgressiva del bus 72 di Loach o la sfrontatezza dell'autobus olandese sono due simpatiche metafore di quel rischio artistico che Pontecorvo e i suoi collaboratori hanno tenuto ben lontano nella composizione della rassegna più autorevole della 53° edizione della Mostra del Cinema. Al di là della sciatteria inaccettabile di Ilona viene con la pioggia e di tante delusioni (Di Cillo, De Oliveira, Capuano) anche il bel film di Osseliani, Brigands, premiato con il Gran Premio Speciale della Giuria, non ha offerto chissà quali scintille di novità autoriale. Così la giuria ha trascurato Basquiat, raro, efficace esempio di film d'arte (filmica) sull'arte (pittorica) e ha, in assoluto, perso l'occasione per promuovere l'unico vero colpo d'ala del festival, il rigoroso e complesso The Funeral di Abel Ferrara. Migliore di Michael Collins? Certamente. Il film sull'indipendenza irlandese diretto da Neil Jordan è un gran film, ma non così compiuto da erigersi a trionfatore di questa edizione (come il doppio tributo - Leone d'oro più Coppa Volpi a Liam Neeson - potrebbero far credere). Se ciò servirà ad aiutare il cammino distributivo del film nei paesi di lingua anglosassone (Inghilterra e USA hanno intrapreso un boicottaggio politico) ben venga, ma da Venezia ci aspettavamo segnali culturali più limpidi. L'autobus di Pontecorvo è arrivato al capolinea, senza indicare nuove e significative indicazioni di percorso.

e.l. rivista ASTRA ottobre/dicembre 96