Ballata dell'odio e dell'amore (Balada triste de trompeta)
Alex de la Iglesia - Spagna 2010 - 1h 47'

Venezia 67 - concorso

    Ma è proprio vero che al circo i bambini si divertono?
Del circo il cinema ci ha dato una rappresentazione che va dal melodrammatico di Hathaway, De Mille, Reed, al patetico di Chaplin e Fellini, al drammatico-horror dei
Freaks di Tod Browning. Al di fuori di tutti questi schemi, pur conservandone alcuni cliché (il pagliaccio innamorato della bella trapezista) si colloca il film di uno dei più originali esponenti del nuovo cinema spagnolo Alex de la Iglesia. Il circo di Balada triste è un teatro dell’assurdo, in cui le situazioni e le passioni esplodono in una sarabanda trascinante che lascia lo spettatore completamente frastornato.

I bambini effettivamente ridono nella prima sequenza del film, ambientata nel 1937, ma le loro risate si interrompono bruscamente quando irrompono i Miliziani, che arruolano forzatamente tutti gli artisti e li portano a combattere sulle barricate. Lì il Pagliaccio Allegro, con un vertiginoso cambio di registro, imbraccia un machete e si trasforma in uno spietato killer. Con questa scena assurda e sconvolgente si apre il film in cui, con il suo particolarissimo stile visionario, irriverente, eccessivo e grottesco de la Iglesia racconterà poi la storia del figlio, diventato il Pagliaccio Triste, che non sa far ridere, “perché non è stato mai un bambino”. Testimone delle efferatezze prima e dopo la triste fine in carcere del Pagliaccio è infatti un bambino esile e occhialuto, che ritroviamo, dopo il salto temporale che ci porta nel 1973, nelle fattezze non certo scolpite di un Charlton Heston o di un Burt Lancaster, ma in quelle di un ragazzotto sovrappeso impersonato da uno straordinario Carlos Areces. Innamoratosi di una trapezista, egli ingaggia un combattimento all’ultimo sangue con il suo rivale in amore nonché partner, il Pagliaccio Allegro. La guerra tra i due non risparmierà colpi, trascinando lo spettatore in un balletto dell’orrore, in cui tutti i generi dall’horror-splatter al melodrammatico, dal fantastico al comico e al grottesco si mescolano e si sovrappongono, passando indiscriminatamente da un registro all’altro, per culminare in una spettacolare scena finale, in cui di fronte al corpo sospeso dell’acrobata si affrontano e si sorridono i due volti sfigurati dei Pagliacci.

de la Iglesia ha dichiarato di aver voluto rappresentare l’atmosfera della Spagna durante gli ultimi anni della dittatura di Franco: “Voglio che il film si svolga nel 1973, quando avevo otto anni. Ricordo quel periodo come un sogno, un incubo incomprensibile…El Lute, la morte di Carrero Blanco, i pagliacci della TV appaiono tutti insieme nella mia memoria….Voglio annientare la rabbia e il dolore con una trovata grottesca che farà allo stesso tempo ridere e piangere.”
Ancora una volta quindi ci troviamo di fronte ad un regista giovane che si misura con eventi passati del proprio paese. Se Pablo Larraìn
film precedente in archivio continua nei suoi film a far rivivere il fantasma della dittatura di Pinochet come sfondo per le sue storie di solitudine e di follia con uno stile gelidamente uniforme, de la Iglesias affronta lo stesso periodo storico (1973), che coincide in Spagna con la fine del franchismo, raccontandocene l’assurdità attraverso la rappresentazione di situazioni portate all’estremo e mescolando tutti i generi con uno stile polimorfico e dissacrante. Emblematica la sequenza in cui, dopo aver assistito all’esplosione della bomba che ha scaraventato la macchina del presidente del consiglio Carrero Blanco sul tetto di un palazzo, il Pagliaccio Triste incrocia gli attentatori e chiede loro “a che circo” appartengano.
Entrambi comunque testimoniano la tendenza di un certo cinema contemporaneo a guardare alla storia passata scegliendo il discorso indiretto rispetto alla ricostruzione storiografica, basti pensare a quello che sicuramente ha costituito un modello per de la Iglesias: gli Inglorious basterds di Tarantino.

Cristina Menegolli - MCmagazine 29 - ottobre 2010