I padroni della notte (We Own the Night)
James Gray - USA 2007 - 1h 57'

    Era dai tempi del boicottato The Yards che non avevamo notizie di James Grayfilm precedente in archivio. Purtroppo, con puntualità tanto esasperante quanto prevedibile, anche We Own the Night (che titolo magnifico!) si è attirato qui a Cannes spaventose bordate di fischi (sul finale quando monta la commozione li senti proprio arrivare, i fischi...). Invece, e state pur certi che il tempo ci darà ragione, We Own the Night è un (quasi) capolavoro. Un inno al cinema americano di una volta. Un inno a un interprete immenso come Robert Duvall. Un dramma biblico scandito da canzoni memorabili e costellato di pezzi di bravura immensi come la sparatoria nella raffineria di eroina o l'inseguimento sotto la pioggia. A tratti Gray calca la mano con analogie e simbolismi (perdonabile ansia di dire...), ma mostra un talento fuori dal comune quando scolpisce volti estraendoli dal buio o disegna traiettorie tra sguardi e desideri. Cinema di angeli caduti che oscilla tra la potenza di Frankenheimer, le geometrie di Siegel e i sensi di colpa di Kazan, We Own the Night è un film da difendere (e da vedere) a tutti i costi.

Giona A. Nazzaro - Rumore

    Deve qualcosa a Friedkin (almeno al Friedkin de Il braccio violento della legge) James Gray, newyorkese anacronistico, amato da Chabrol e amante di melo drammi nero pece, che apre il suo terzo film, Padroni della notte, con un omaggio al grande fotografo della Magnum Leonard Preed (mancato l’anno scorso) e una selezione di scatti da uno dei suoi libri più belli, Police Work (1980). Quelle di Freed e di Gray sono le immagini di un dipartimento di polizia etnico e blue-collar, un corpo sconquassato, in una città ingovernabile in piena recessione economica (ha un cameo nel film anche il sindaco della New York di quegli anni Ed Koch, che interpreta se stesso), un mondo esclusivamente (e ottusamente) maschile, governato dalle leggi della famiglia (che sia quella di sangue, delle divise blu o della mafia russa) in cui ci si muove a bordo di macchine scassate e la giustizia ha un sapore biblico ma si improvvisa un po’ così come viene. Con una premessa da tragedia greca, Robert Duvall, capo della polizia, ha un figlio che gli lavora al fianco (Mark Walhberg) e uno che sta dall’altra parte Jaquim Phoenix, come Walhberg alla sua seconda collaborazione con il regista), gravitando (insieme alla fidanzata Eva Mendes) nei giri criminali importanti dall’ex Unione sovietica (in versione più casereccia di quelli raccontati da Cronenberg in La promessa dell'assassino, ma altrettanto violenta). I padroni della notte è un’immersione totale nei luoghi della città, una New York anti-cartolina (Brighton Beach, Washington Heights, il lungomare fatiscente di Coney lsland, l’antro cavernoso di Webster Hall…). I suoi rituali etnici in via di estinzione, sradicati dalla gentrificazione del tessuto metropolitano. I personaggi che si materializzano dal buio e dalla pioggia per poi venirne reinghiottiti. Bellissima la scena dell’inseguimento in macchina. Barocco, eccessivo come un iperbolico melodramma criminale giapponese il finale tra le canne… Gray manca di ironia, di distanza e quindi si espone facilmente alle critiche di chi patisce il machismo retrofascista dei suoi personaggi, i loro valori preistorici. In realtà, l’essere un occhio così «fuori moda» dà al suo cinema una ricchezza preziosa.

Giulia D’Agnolo Vallan - Il Manifesto

    Il film con cui James Gray chiude una trilogia che comprende anche Little Odessa e The Yards (mai uscito da noi). Tre variazioni sullo stesso tema: una tragedia familiare sullo sfondo del crimine metropolitano. […] Gray colora di noir un dramma di caratteri alla ricerca d’identità. La struttura tragica non vieta l’approfondimento psicologico, fino a ribaltare i ruoli: così Bobby si scopre eroe; mentre Joe capisce di essere diventato poliziotto per assecondare le aspettative paterne e di aver sempre invidiato il congiunto ribelle. Venature mistiche e simbologie religiose apparentano I padroni della notte a certi film di Scorsese o di Abel Ferrara. Circola un’atmosfera depressiva che si traduce in scelte scenografiche: il minaccioso locale notturno, gli squallidi distretti di polizia, i motel anonimi e tetri…

Roberto Nepoti – La Repubblica

 

promo

Una tragedia familiare sullo sfondo del crimine metropolitano. New York, 1988. Bobby è il direttore di un night di Brooklyn; proprietario un mafioso russo che lui considera un secondo padre. Non gli hadetto, però, che il suo vero genitore è il capo della polizia del Nypd, dove suo fratello Joe ha il grado di capitano. Per lui si prepara una sinistra esperienza, che lo costringerà a scegliere tra affiliazione e legami di sangue, fedeltà e tradimento. In un dramma biblico scandito da canzoni memorabili e costellato di pezzi di bravura, Gray mostra un talento fuori dal comune quando scolpisce volti estraendoli dal buio o disegna traiettorie tra sguardi e desideri. Cinema di angeli caduti che oscilla tra la potenza di Frankenheimer, le geometrie di Siegel e i sensi di colpa di Kazan, un inno al cinema americano di una volta.


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