Welcome
Philippe Lioret - Francia 2009 - 1h 50'

  Per passare la frontiera ci vogliono polmoni d'acciaio. Letteralmente. Se ti nascondi in un Tir la polizia introduce sottili cannule sotto il tendone per captare il respiro. L'unica è infilare la testa in un sacchetto di plastica e trattenere il fiato. È un'immagine devastante e una metafora naturale di rara potenza. Tanti clandestini stipati in un Tir con la testa in una busta di quelle in cui mettiamo la spesa al supermercato. La loro testa contro le nostre merci. Miseria assoluta contro abbondanza malata. Sembra anche un'immagine di tortura. Roba da colonnelli, avremmo detto una volta, quando la tortura sembrava un'esclusiva del Sud del mondo. Invece è "solo" lotta per la sopravvivenza. Anche se non tutti ce la fanno.
Bilal per esempio non ce la fa. E sì che è un atleta, con un fisico da statua greca e un sogno impossibile. Vuole raggiungere la fidanzata a Londra, ma per ora è arrivato solo a Calais, sulla costa francese. Dal Kurdistan, dove è nato, sono migliaia di chilometri. Tutti via terra però, mentre fra Calais e Londra c'è la Manica. E un dispiegamento di forze anti-immigrati da paese in guerra. La storia di Bilal però non ci prenderebbe alla gola se non si intrecciasse a quella di un personaggio più vicino a noi: Simon. Un ex-campione di nuoto che campa facendo l'istruttore in piscina, ma compie un gesto imprevedibile. Si prende Bilal e un compagno di fuga in casa. Li aiuta, li sfama, si attira l'odio dei vicini e le minacce della polizia, perché in Francia chi aiuta un clandestino rischia fino a 5 anni di prigione. Quindi, come se non bastasse, inizia ad allenare Bilal, che vuole andare in Inghilterra a nuoto. A costo di restare ore e ore in un'acqua a 10 gradi.  Perché Simon, che ha la faccia di chi ha appena finito di piangere di uno straordinario Vincent Lindon, ma non piange mai, fa una cosa così pericolosa? Forse per far colpo sulla moglie che lo ha lasciato, attiva nel volontariato (ma molto più cauta di lui...). Perché si sente solo. Perché non ha figli e Bilal non ha neanche vent'anni. O perché è giusto, e non càpita ogni giorno di fare qualcosa di giusto. «Lui ha fatto 4000 km. a piedi per rivedere la sua ragazza», dice Simon alla moglie. «Tu sei andata via e io non ho nemmeno attraversato la strada per fermarti». In compenso sullo zerbino del vicino che denuncia Simon alla polizia c'è scritto Welcome, benvenuti...
Difficile trovare titolo più ironico e amaro per un film secco ed efficace come pochi, che concentra una tragedia dei nostri giorni in un pugno di figure e conflitti tanto essenziali da togliere davvero, rieccoci, il respiro.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

   Benvenuto Welcome. Arriva in Italia un film terribilmente bello, vincitore a Berlino, campione d'incassi in Francia, dove ha influenzato il dibattito politico sull'immigrazione clandestina. E difficile che da noi provochi le stesse conseguenze. Non soltanto perché non si tratta di una nostra storia d'immigrazione. Magari. Chissà quando il cinema italiano riuscirà a produrre un'opera altrettanto matura sul più importante problema dell'epoca. Ma soprattutto perché la discussione sui clandestini da noi è precipitata in tali abissi di miseria morale, politica e giuridica che nulla sembra in grado di risollevarla a un grado di civiltà. Tantomeno un'opera d'arte, un film o un libro, insomma qualsiasi cosa non sia chiacchiera televisiva [...]
Non è un film di buoni e cattivi. E un film di uomini e donne soli, gente comune e migranti, poliziotti e vicini di casa, burocrati e commercianti, né buoni né cattivi, ma deboli e piccoli di fronte a un sistema che ha deciso di usare le paure e l'alibi della sicurezza come nuova forma di controllo autoritario della società e degli individui. Degli altri, di quelli che arrivano nelle stive delle navi, ma soprattutto dei propri cittadini. Un sistema forte, razionale, gelido, fondato sull'egoismo e in fondo condiviso da vittime e carnefici, entrambi occasionali. Un mondo in cui l'amore folle di due ragazzi e la complicità affettuosa di un uomo diventano atti eversivi, pericolosi. Sentimenti forti, roba da clandestini. Non è naturalmente soltanto il tema a fare di Welcome un bel film.
Philipe Lioret
film successivo in archivio è uno dei migliori registi francesi, già collaboratore di Robert Altman, ispiratore di The Terminal di Spielberg, ed è un maestro nelle scene sull'inferno del porto di Calais. La scrittura è perfetta ed è difficile trovare un aggettivo adeguato all'interpretazione di Simon da parte di Vincent Lindon, divenuto nel tempo una dei più straordinari attori europei. E quasi impossibile uscire dalla sala di Welcome con le stesse idee sull'immigrazione che si avevano prima.

Curzio Maltese - La Repubblica

   Nubi, grigio, oceano. Il canale della Manica visto dalla Francia è una brutta bestia. Soprattutto quando la stagione si fa invernale. Bilal (Firat Ayverdi) ha 17 anni e la faccetta implume. Nel paese curdo-afgano da dove è partito lo chiamano Bazda, il corridore. Fiato e prestanza fisica non gli mancano. Di là dal canale c'è Cristiano Ronaldo (ancora al Manchester United), l'idolo calcistico da emulare; ma anche l'amata Mina, promessa sposa a chissà quale afgano londinese ben piazzato. Il gioco vale la candela. Non c'è vita senza il sognato amore. Per cui si diventa clandestini, si scappa e si corre verso l'Eden.
Calais è l'ultima tappa migrante prima della terra inglese. Qui si ferma Bilal, tra la spiaggia a la città, in mezzo alla celeberrima "giungla". Spazio di nessuno zeppo di disperati immigrati che nella realtà, nel settembre scorso, è stato sgomberato dai violenti flic di monsieur Sarkozy. L'ossessione di Bilal è di imparare a nuotare, per poi attraversare la Manica a nuoto e sfidare le correnti dei mari. Simon (Vincent Lyndon) è un signore che viaggia sui cinquanta, fisico robusto e pancetta mascolina, t-shirt e ciabattine trascinate ai bordi della piscina comunale di Calais ad insegnare stile libero. Sulla scansia di casa una medaglia d'oro di vent'anni prima; nel petto il cuore frantumato dall'addio di Marion (Audrey Dana), bella insegnante delle medie, volontaria notturna a versare zuppa calda nelle ciotole dei migranti della "giungla". Che Simon insegnerà a Bilal come stare a galla e nuotare è quasi superfluo aggiungerlo.
Welcome di Philippe Lioret è un film che in Italia non saprebbe fare nessuno. E il paragone non vuole essere il solito cahiers de doleances dei difetti nostri e dei pregi altrui. Il punto è che di fronte al tema "immigrazione", come per qualsiasi tema etico delicato, agli italiani, quelli bravi che hanno studiato storia, cinema e sociologia, mancano gli attributi. Lioret, invece, propone una versione di cinema contemporaneo militante che sa di autentica immersione nel reale. Una documentazione altamente antispettacolare del vero (quindici i minuti iniziali completamente tra gli immigrati della "giungla") per mostrare l'angoscia, la fuga, l'inferno dei migranti. La macchina da presa di Lioret non dà mai segni di cedimento: prende una giusta distanza dai soggetti, sembra non invadere e/o condizionare lo spazio dell'inquadratura, fino ad amalgamarsi coi corpi e i luoghi ripresi (si veda il ricorrente esterno spiaggia davvero ispirato). I tre sceneggiatori (lo stesso Lioret, Emmanuel Courcol e Olivier Adam) disegnano una robusta linea principale di dialogo tra Simon e Bilal: dapprima maestro con allievo, poi padre con figlio, infine mimesi tra adulti innamorati di due donne che paiono irraggiungibili. Quest'atmosfera malinconica che permea un presente amaro per Simon e disperato per Bilal, diventa naturale fronte comune davanti ai soprusi della polizia e alle delazioni dei vicini di casa. Perché il sadismo della nuova legge francese anti immigrazione prevede pene severe anche solo per chi rifocilla, senza permesso delle autorità, un clandestino. Welcome è così uno sfregio bello grosso alla gabbia dei pregiudizi sociali; cinema intenso, compatto, politico, mai rinunciatario.

Davide Turrini - Liberazione

promo

Per amore di Mina, Bilal, ragazzo curdo che sogna di diventare un calciatore del Manchester United, attraversa tutta l'Europa. Alla fine arriva a Calais. Gli resta soltanto la Manica per raggiungere il suo sogno. Senza permessi e senza soldi, Bilal si mette in testa di attraversarla a nuoto. Trova l'aiuto, dapprima diffidente, poi sempre più appassionato, di un istruttore di mezza età, Simon, appena lasciato dalla moglie. E la storia diventa quella fra un vero padre e un vero figlio, che non sono padre e figlio... La scrittura è perfetta ed è difficile trovare un aggettivo adeguato all'interpretazione di Simon-Vincent Lindon. Cinema intenso, compatto, politico, efficace come pochi perché sa concentrare una tragedia dei nostri giorni in un pugno di figure e conflitti essenziali: è quasi impossibile uscire dalla sala con le stesse idee sull'immigrazione che si avevano prima.

film del week-end precedente

TORRESINO - gennaio-febbraio 2010

film successivo presente sul sito

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