Il mio amico Eric (Looking for Eric)
Ken Loach - Gran Bretagna/Italia/Francia/Belgio 2009 - 1h 56'

  ... Ken Loach sa rinnovarsi e cambiare, pur restando fedele a se stesso. In Looking for Eric, il suo undicesimo film a Cannes, celebra il matrimonio inedito tra la commedia proletaria e il repertorio di Frank Capra, formando una coppia irresistibile: Eric Cantona, star indimenticata del Manchester United, e Eric il postino, cinquantenne depresso in ambasce sentimentali e alle prese con un criminale che gli plagia il figlioccio. Non sapendo a che santo votarsi, il secondo si rivolge al poster del suo omonimo, san Cantona. Ed ecco che il calciatore francese gli si materializza davanti, per fargli da coach nel ritorno alla felicità. Divertente dall'inizio alla fine, con una virata drammatica verso la metà per evitare l' inflazione di ottimismo, il film è una miniera d' inventiva declinata in forma semplice e diretta, come sa fare chi ama il suo pubblico. Comicissimi i pomposi aforismi di Cantona, inventati dallo sceneggiatore Paul Laverty nello stile di quelli pronunciati dal campione (che si diverte a prendersi in giro) durante la sua carriera. Impagabile il gruppo degli amici del postino, che fanno squadra con lui per proteggerlo dal teppista, interpretati da un gruppo di "secondi ruoli" uno più simpatico dell' altro. E originale l'approccio col tifo calcistico di Loach, da sempre innamorato del pallone. A giudicare dagli ultimi film inglesi, supporter sembrava il sinonimo di hooligan. Invece Ken ci mostra il lato "di sinistra" della tifoseria: quello di chi non vuole dare i soldi ai canali di Murdoch ma vive il calcio come un'esperienza di amicizia e solidarietà.

Roberto Nepoti - La Repubblica

   Looking for Eric è la quintessenza del calcio, la descrizione più pura dell'amore che un tifoso può nutrire per un campione [...] L'idea l'hanno avuta Ken ed Eric, che Dio li benedica, e l'hanno arricchita con un sottotesto sociale e politico tutt'altro che banale. Il film è un inno alla solidarietà, usa sapientemente il tifo come metafora di una comunità, e racconta con amore la società britannica. Guardate la scena in cui Steve trova finalmente il coraggio di invitare l'ex moglie al pub: lei arriva, lui è già lì con la sua pinta di birra e le chiede «cosa bevi?», lei risponde «un sidro». Un sidro! Noi italiani non sappiamo manco che cos'è, ma in Inghilterra è l'alternativa femminile alla birra, la bevanda che molte donne ordinano al pub. Un regista che mette in un film una donna che ordina un sidro non è un regista, è una persona. Una grande persona. Ken Loach.

Alberto Crespi - L'Unità

   Un personaggio sull'orlo del baratro incontra come per magia un "angelo custode" e risale miracolosamente la china. Anzi scopre di avere sotto mano tutto ciò che serve a trasformare un'esistenza disastrata in un sogno.
Già sentito? Certo, è il soggetto de
La vita è meravigliosa di Frank Capra, della Rosa purpurea del Cairo di
Woody Allen e di molti altri titoli dedicati a un sogno antico quanto l'umanità. Ma se le idee sono sempre le stesse, i film, per fortuna, sono sempre diversi e Il mio amico Eric di Ken Loach restituisce a questo soggetto semplice e universale tutta la forza e l'ottimismo così rari nel ciema d'oggi grazie a una trovata altrettanto geniale. Il salvatore non è un "vero" angelo (come in Capra) né un'icona dello schermo (come in Woody Allen), bensì un calciatore.
Un calciatore vero, che ha il volto, la voce, il carisma e l'autoironia di Eric Cantona, mitico centravanti francese in forza al Manchester negli anni Novanta, 1 metro e 88 di caratteraccio e di goal leggendari che riempiono lo schermo e il subconscio di un postino che porta il suo stesso nome: Eric Bishop (Steve Evets), un tipetto sui 50 sbatacchiato dalla vita, dai figliastri adolescenti e da una prima moglie mai dimenticata. Vuoi vedere che quel gigante barbuto dall'accento francese, uscito come per magia da un vecchio manifesto, riporterà in pista il piccolo Eric facendogli da coach fisico e morale?
Naturalmente, trattandosi di un film di Ken Loach, non ci sono trucchetti metafisici o ironie sottintese. Anche se sullo schermo c'è il vero Cantona, un monumento di simpatia con un tempismo da goleador per la parola giusta al momento giusto, è chiaro che il piccolo Eric scopre dentro di sé le risorse e i consigli di cui ha bisogno. Ma il fido Paul Laverty, sceneggiatore dei Loach migliori, trova in quel francese abbonato alle squalifiche un formidabile catalizzatore di solidarietà sociale e riscossa individuale. Anche perché non c'è l'una senza l'altra e a spalleggiare il piccolo Eric, fatte salve le faccende più intime, saranno i colleghi, gli amici, i tifosi ("Devi sempre fidarti dei tuoi compagni di squadra, se no è finita"). Insomma un concentrato di energia e ottimismo che per giunta traduce in termini immediati e popolari questioni complesse come il rapporto col nostro passato e l'influenza profonda, sui singoli, delle cosiddette icone di massa. Forza Manchester, forza Loach.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

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Una commedia proletaria in bilico tra sogno e realtà: Eric il postino, cinquantenne depresso in ambasce sentimentali e alle prese con un criminale che gli plagia il figlioccio, non sapendo a che santo votarsi, si rivolge al poster del suo idolo "san Eric Cantona", star indimenticata del Manchester United. Ed ecco che il calciatore francese gli si materializza davanti, per fargli da coach nel ritorno alla felicità... Divertente dall'inizio alla fine, il film è una miniera d'inventiva declinata in forma semplice e diretta, come sa fare chi, come Loach, ama il suo pubblico. Un concentrato di energia e ottimismo.

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