maggio 2025

periodico di cinema, cultura e altro... ©
 

n° 103
Reg.1757 (PD 20/08/01)

 
 
 

FESTIVAL DI UDINE                                        

 

24 aprile - 2 maggio 2025

  Il Far East Film Festival è sempre un potente sismografo: in questa ventisettesima edizione le vibrazioni più forti a Oriente sembrano provenire da due fonti, la Cina e il mondo femminile. La prima è apparsa dominante non solo per aver guadagnato il primo e il terzo posto nella classifica dei film premiati, ma anche per la carica di energia propulsiva, quasi espansiva, che le opere, al di là dei temi, esprimevano. Quanto al femminile, molte tematiche ad esso legate sono state al centro dell'attenzione, anche grazie alla presenza di ben dodici registe donne.


Gelso d'Oro Her story di Yihui Shao, Cina
Gelso d'Argento (2 posto) The Last Dance – Extended Version di Anselm Chan, Hong Kong
Gelso di Cristallo (3 posto) Like a Rolling Stone di Yin Lichuan, Cina
Gelso Nero (accreditati Black Dragon) The Last Dance – Extended Version di Anselm Chan, Hong Kong
Gelso Viola (Mymovies) Silent City Driver di Janchivdorj Sengedorj, Mongolia
Gelso Bianco (opera prima) Diamonds in the Sand di Janus Victoria, Filippine
Miglior Sceneggiatura Welcome to the Village di Jojo Hideo, Giappone


 

Il podio fotografa bene questa tendenza. Al primo posto la regista cinese Yihui Shao con il film Her Story, che racconta come una giornalista, dopo il divorzio, cerchi di crescere da sola la propria bambina, affrontando le difficoltà dell'indipendenza e trovando alleanza in una giovane vicina musicista. Il film tocca molti dei problemi di una società patriarcale (pregiudizi, stereotipi, violenza domestica) ma lo fa in una chiave leggera, puntando sul ritmo vivace e soprattutto sui dialoghi brillanti, con le battute più fulminanti affidate alla piccola di casa. Così questa "commedia femminista", partita molto in sordina, è diventata campione di incassi nel suo paese e ha conquistato anche il pubblico del Far East.

Her Story

Ma non è un caso isolato: lo dimostra il successo in Cina del film della nostra Paola Cortellesi C'è ancora un domani (più di un milione di spettatori), che ha molte affinità con l'opera che qui ha guadagnato il terzo posto, Like a Rolling Stone, della regista cinese Yin Lichuan. È la storia vera di Su Min, una donna che a più di 50 anni decide di lasciare marito, fratello, figlia e nipote per fare ciò che ha sempre desiderato. La costruzione del film è tradizionale, ma i classici flash back che ripercorrono la vita della protagonista riescono a farci comprendere bene i meccanimi per cui una persona in origine forte e volitiva possa rimanere ingabbiata per così tanto tempo: non fatti drammatici, ma di volta in volta circostanze oggettive, senso del dovere e ricatti morali. Il seme dell'autoaffermazione però resiste e quando germoglia lo fa in modo inaspettato e davvero liberatorio: Su Min ha percorso in auto da sola tutta la Cina (più di 400 le città toccate) diventando un'amatissima blogger.

Like a Rolling Stone

Proviene daiia vicina Hong Kong il film di Anselm Chan The Last Dance – Extended Version, che si è aggiudicato il secondo posto e insieme il premio assegnato dai fedelissimi accreditati Black Dragon. Il mondo è quello dei servizi funerari e il pensiero va subito a Departures: come nel film giapponese del 2008, anche qui il protagonista è un neofita (prima faceva il wedding planner) che impara dagli errori ad amare il suo nuovo lavoro e ad aiutare davvero i parenti dei defunti. Nel percorso sono toccati vari temi, ma sicuramente lo spettatore è colpito dalla specificità culturale della cerimonia taoista e in particolare dallo scenografico rito dell'apertura delle porte dell'inferno.

The Last Dance – Extended Version

Da cinematografie di paesi emergenti provenivano quest'anno diversi film interessanti. A Diamonds in the Sand, della regista filippina Janus Victoria, è andato il premio per la migliore opera prima. Dalla Thailandia si è fatto notare lo scatenato The Stone, di Arak Amornsupasiri, incentrato sul mercato degli amuleti, meritevole se non altro di averci fatto scoprire questo mondo. Ha deluso il malesiano Next Stop, Somewhere, girato da due troupe in due paesi diversi: il montaggio fallisce nel dare unità di stile ma soprattutto convergenza di senso alle due storie sulla ricerca della libertà. Inaspettatamente arriva dalla Mongolia il miglior noir del Festival, Silent City Driver di Janchivdorj Sengedorj, che gli spettatori di Mymovies hanno premiato col Gelso Viola. Ambientato nella capitale, Ulan Bator, il film segue fino in fondo il percorso di solitudine e disperazione di Myagmar un giovane ex detenuto, spiazzando però lo spettatore con alcune suggestioni visive e sonore.

Diamonds in the Sand

Silent City Driver

Tornando ai tradizionali protagonisti del Festival, il Giappone quest'anno ha presentato molte opere sulle incertezze dei giovani nell'affrontare l'amore e in generale la vita, ma nessuna ha lasciato il segno. Il film più riuscito è dedicato invece alla vecchiaia, Teki Cometh, e lo firma un maestro, Yoshida Daihachi, portando sullo schermo un romanzo di Tsutsui Yasutaka. La routine quotidiana di un anziano professore di francese in pensione (l'ottimo Nagatsuka Kyozo), scandita da gesti e attività all'insegna della cultura e dell'eleganza, comincia ad essere animata da presenze e fatti minacciosi: il teki in arrivo del titolo significa appunto nemico. Se è difficile capire la consistenza reale di questi fantasmi, grazie anche alla scelta del bianco e nero, certo i sogni/incubi ci dicono del compassato professor Gisuke e delle sue paure più di quanto lui stesso non sappia. Presentato in modo fuorviante come un lynchiano, forse ha finito per essere penalizzato dalle aspettative così create.

Teki Cometh

Ad una straordinaria coppia è andato infine il Gelso d'oro alla carriera: l'attrice, regista e produttrice Sylvia Chang e il leggendario regista e produttore Tsui Hark. La premiazione è stata l'occasione per presentare i loro due nuovi film, ma ci ha anche regalato la possibilità di vedere una pellicola del 1984 appena restaurata in 4K, Shaghai Blues, una deliziosa screwball comedy ambientata negli anni '40, che omaggia al meglio il genere.

Shangai Blues

Tastando il polso al Festival, dobbiamo evidenziare che i numeri (65.000 spettatori) certificano un'ottima salute. E anche il coinvolgimento della città, grazie alla ormai consolidata ricchezza di eventi collaterali, sembra sempre più convinto, come affermano soddisfatti Sabrina Baraccetti e Thomas Bertacche. Da parte nostra contiamo sulla prossima edizione del festival per capire sempre un po' di più di un Far East sempre più "vicino".
 

Licia Miolo
 


YOKAI E ALTRI MOSTRI SI AGGIRANO PER UDINE

   Film horror, fantasy e commedie soprannaturali sono una presenza costante e molto attesa nel programma del FEFF, in quanto rappresentano una parte significativa della produzione dei film asiatici. Il folklore e la mitologia di paesi con origini culturali fortemente animiste, come il Giappone, ma non solo, sono popolati da una vastissima quantità di creature fantastiche buone o cattive, dispettose o terrificanti, ma sempre affascinanti e temibili, che spesso il cinema ha voluto rappresentare.
La RETROSPETTIVA di quest'anno portava l'accattivante titolo YOKAI e altri mostri: dal folklore asiatico al cinema: e comprendeva 12 film (alcuni anche con firme importanti come Miike Takashi e Tsui Hark), che spaziavano tra horror e fantasy, tra presente e passato, tra storia e leggenda, creando un affascinante itinerario, dove il piacere della paura veniva declinato in ogni sfumatura possibile. Scopo della retrospettiva era quello di esplorare nella produzione cinematografica orientale “i modi in cui le radici autoctone, il folklore dei paesi asiatici, si sono tradotte, attraverso varie trasformazioni, in film.”
Così gli spettatori di nicchia, che frequentano la sala del Cinema Visionario, luogo deputato alle retrospettive, hanno scoperto che la Krasue thailandese è una spaventosa testa fluttuante, che la Pontianak del SudEst asiatico è una donna fantasma violenta e vendicativa e che la Gumiho coreana è una malvagia e seducente volpe a nove code, che la Manananggal filippina si trasforma in pipistrello, che lo Jiangshi, il vampiro cinese è una sorta di zombie saltellante, che opera sotto l'influsso delle magie taoistiche e che gli Yokai sono bizzarre creature nipponiche di origine mitologico-religiosa (diverse quindi dagli Yurei che sono i fantasmi), che si manifestano nei modi più svariati: dalla yuki onna (donna delle nevi) dal respiro letale all'amikiri, uno spiritello che si diverte a bucare le zanzariere.

Oltre alla ricca retrospettiva e a una pubblicazione sull'argomento, il FEFF ha organizzato anche una esposizione-evento Mondo Mizuki, Mondo Yokai presso il museo di arte contemporanea Casa Cavazzini in collaborazione con Canicola di Vincenzo Filosa, dove si possono ammirare 100 tavole originali, riviste, documenti, video del grande maestro giapponese di manga Shigeru Mizuki, specialista di storie di yokai e studioso del relativo folklore, opere mai esposte in Italia (la mostra resterà aperta fino al 30 agosto). Le sue tavole popolate da verruche parlanti, cloni ninja, alchimisti cialtroni e mantelle volanti parlano di creature e leggende di epoche antiche che Mizuki ha traslato nei meandri delle grandi metropoli del Giappone moderno. Anche il cinema, come ha dimostrato la ricca retrospettiva, si è appropriato, ridefinendole, di queste creature ereditate dal folklore del passato, come è successo peraltro anche in occidente: emblematico in questo senso l'affascinante The Snow Woman, di Tanaka Tokuzo del 1968 (restaurato nel 2024).


 

 

in rete dal 30 maggio 2025

 
 

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