C’è ancora domani

Paola Cortellesi

Roma, maggio 1946. In balìa di un marito padrone e di un suocero canaglia, Delia accetta la vita che le è toccata e ha come unica aspirazione che la sua primogenita si sposi “bene”. L’unico sollievo è l’amica Marisa, con cui condivide momenti di leggerezza e qualche intima confidenza, ma sarà l’arrivo di una misteriosa lettera a darle il coraggio per rovesciare i piani prestabiliti e immaginare un futuro migliore.

Italia 2023 (118′)

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  Sorprendente esordio di Paola Cortellesi, C’è ancora domani è un film che richiama tratti del neorealismo e del successivo neorealismo rosa, mescolando elementi estremamente drammatici relativi alla povertà del dopoguerra e, ancor di più, a una terrificante società patriarcale e maschilista che non riguarda soltanto gli anni che vengono raccontati, con momenti più leggeri e spensierati. Cortellesi opta per un elegante bianco e nero e calca, a volte fin troppo, la mano sulla caratterizzazione dei personaggi in scena, azzeccando spesso i toni, ma abusando della retorica in alcuni passaggi finendo per dare vita a momenti poco credibili (il rapporto tra la protagonista e il soldato di colore, con annessa l’azione che provocherà un momento… decisamente esplosivo). A parte questo, comunque, è un film incisivo, un racconto popolare capace di arrivare efficacemente a tutti e di toccare corde profonde. Notevolissima è soprattutto una conclusione capace di scuotere e di un regalare un potentissimo colpo di scena, ben centrato come tutto il resto di questa pellicola.

Paola Cortellesi debutta alla regia con un originale e coraggioso tributo alle donne di ieri e di oggi, a partire da quelle “invisibili” capaci, loro malgrado, di segnare la Storia. Ispirata ai racconti di nonne e bisnonne, «di tante donne qualunque che hanno costruito, ignare, il nostro paese», C’è ancora domani, si affida a un luminoso bianco e nero “neorealista” per tornare al periodo postbellico, alla vigilia del voto alle donne, per raccontare una storia ancora attualissima che parla di condizione femminile, di diritti che ancora mancano, di maschilismo e patriarcato, di differenze di genere e violenza domestica. Un film politico, alla fine. Al centro di C’è ancora domani, scritto con cura dalla stessa Cortellesi con Furio Andreotti e Giulia Calenda, c’è la rassegnata Delia, madre e moglie tuttofare, che si muove in una Roma del primo dopoguerra tra povertà e miseria, soldati americani che regalano cioccolata, italiani che faticano ad arrivare alla fine del mese e lunghe code agli alimentari. Sempre di corsa e in grembiule, Delia tiene la sua casa-sottoscala pulita, prepara i pasti ai tre figli e al marito violento Ivano (il bravo Valerio Mastandrea) che la sveglia ogni mattina con uno schiaffone, accudisce il suocero ignorante e cattivo (Giorgio Colangeli) secondo il quale lei «ha il difetto che risponde», e si ingegna tra mille lavoretti per contribuire al bilancio familiare di cui in realtà è il motore. È una di quelle donne che sopportano una vita di prevaricazioni senza porsi domande, «perché tanto dove vado?», disprezzate e maltrattate in silenzio, “figlia” di una società misogina e patriarcale che al femminile non ha mai concesso niente, non solo il diritto al voto, ma neanche la possibilità di parlare, studiare o addirittura pensare. Donne costrette a credere di non valere niente, concentrate solo sui doveri, compreso quello di abbassare la testa di fronte a maschi tossici, maneschi e prepotenti (“Non menarla troppo – dice il suocero al figlio Ivano- menaje ogni tanto, ma forte, cosi capisce”). Ed è qui che Cortellesi gioca la sua visione d’autrice, trasfigurando la violenza domestica in una dolente coreografia, un amarissimo “passo a due” in cui la danza mette distanza dalla durezza di ciò che accade, ma ne sottolinea anche la brutale consuetudine.

E mescolando dramma e commedia con malinconica grazia, Cortellesi abbraccia un mondo che sta cambiando, complice la svolta storica del diritto al voto alle donne: c’è la capitale “eterna” coi suoi soldati, ci sono le comari che appendono i panni in soffitta e chiacchierano in cortile tra piccoli squarci di sottile solidarietà, ci sono le ragazze, come la figlia di Delia, che sognano di accasarsi “bene” senza vedere chi hanno accanto, e le amiche, come la fruttivendola Marisa (Emanuela Fanelli) che provano a sostenere come possono. E c’è pure l’amore mancato, il meccanico dolce e squattrinato (Vinicio Marchioni) che deve trasferirsi al nord per trovare lavoro, con cui Cortellesi si regala un inaspettato “girotondo” del sorriso mangiando un pezzetto di cioccolato. Ma non è l’amore che interessa alla regista, bensì il tema del femminile, scandito attraverso una bella colonna sonora che spazia da Dalla a Silvestri per rendere il dovuto omaggio una generazione di guerriere che hanno lavorato per un domani migliore. Non tanto per se stesse, ma per quelle che sarebbero arrivate dopo (non a caso la regista dedica il film alla figlia). Un vero “domani” in cui iniziare a camminare a testa alta.

Chiara Pavan – Il Gazzettino

  C’è ancora domani è una di quelle opere che non ha paura: si impunta nel raccontare una storia semplice, eterna come la città che la ospita, infame come sa essere la quotidianità squallida di chi si è arreso alla propria indolenza, di un sistema maschilista così grottesco da essere tristemente vero. Qui tutti si sono tanto amati, ma hanno anche smesso da un pezzo. Sarebbe riduttivo definire quest’opera come femminista, pur valutando il suo finale programmatico e la forza e la lucidità con cui ritrae una condizione femminile così risaputa, in quegli anni, da essere sottovalutata, storicamente e socialmente. Ma C’è ancora domani è anche e soprattutto un film d’amore. Per se stessa, perché a volte la routine ci fa dimenticare che dobbiamo riconquistarci. Per una città nel suo momento più doloroso e di rinascita, filiale e materno, sia pur conflittuale. E per il cinema, perché Cortellesi regista mette dentro la sua cultura e sensibilità cinematografica, usa le inquadrature, soprattutto quelle più enfatiche e parossistiche, in modo controintuitivo, per sottolineare la normalità, di una camminata o di una lite, così come l’uso della colonna sonora, da Lucio Dalla a Daniele Silvestri, gioiosamente anacronistica, crea un effetto straniante che invece di farci uscire dal film riesce a invece a tenerci avvinti, a creare tra autrice e spettatori un’empatia immediata, una spinta narrativa ed emotiva che prima parla al cuore e poi alla testa. Entusiasta, dolce, originale, curato, il film dopo un iniziale disorientamento – fotografia e montaggio (bravi Leone e Mariani) sono bruschi il giusto, ripercorrendo un linguaggio anche visivo del tempo, pur con facce e alcune soluzioni registiche moderne – scorre agile e robusto nella sua schiettezza, incapace di mentirti, come quei sorrisi, quello sguardo sconfitto ma con una sua fierezza nascosta, quei movimenti misurati che Cortellesi attrice semina con chirurgica precisione.

Boris Sollazzo – hollywoodreporter.it

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