A Single Man
Tom Ford - USA 2009 - 1h 35'
-opera prima-

  Glaciale, studiato, controllatissimo. Mai un respiro di troppo, un capello fuori posto, un'inquadratura che non sia disegnata, prevista, eseguita con cura millimetrica fino all'ultimo dettaglio. L'esordio dello stilista Tom Ford, già designer di moda per Gucci e Saint-Laurent, è un gioiello di modernariato e di mimetismo che lascia il cinema esattamente come l'ha trovato, ma incanterà i perfezionisti, gli ossessivi, chi ama le immagini lavorate come pezzi d'oreficeria e i sentimenti che si incastrano come in un puzzle.
Gli altri cercheranno invano un soffio d'aria in tanta soffocante cura formale. Ma in mancanza di vera emozione l'emozione è ambigua e imprevedibile per natura si può ammirare la perizia con cui Tom Ford ha portato liberamente sullo schermo il racconto di Christopher Isherwood (ristampato da Adelphi come
Un uomo solo). Ambientato nella Los Angeles del '62 in un trionfo di abiti scuri, camicie bianche e cravatte strette,
A Single Man racconta un giorno nella vita del professore di letteratura inglese George Falconer (uno straordinario, lui sì, Colin Firth). Quello che segue la morte improvvisa dell'uomo con cui viveva da 16 anni.
Da bravo intellettuale di mezz'età, Falconer non perde mai il controllo (perfino quando si sveglia da un incubo, seminudo, il lenzuolo che lo copre sembra un panneggio rinascimentale, il vituperato Ivory in confronto è un impetuoso improvvisatore). In compenso medita di uccidersi (nel film, non nel romanzo). Dunque guarda tutto con occhi diversi, forse benevoli: i vicini filistei, gli studenti ignoranti cui impartisce una lezione sulla paura e l'odio per le minoranze, il bellissimo marchettaro incontrato per caso (non c'è niente e nessuno che non sia bello nel film), la vecchia amica amata in gioventù (Julianne Moore), lo studente che gli parla di droghe, lo segue, forse vuole sedurlo, ma vigila discretamente su di lui.
Tutto è come dev'essere e ci si aspetta che sia nella vita di un uomo che prima di spararsi lascia piegati sul tavolino gli abiti da indossare nella bara con tanto di biglietto per la cravatta («fare un nodo Windsor»). Un film-vetrina, cui non manca nulla tranne il calore. A quello pensa chi siede in platea, in fondo ogni spettatore è coautore del film che vede. Noi abbiamo un'altra idea del cinema. Ma a Venezia piangevano in molti.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

   La storia di un mistero e di un dolore, celati dall'eleganza del protagonista George, magnificamente interpretato da un Colin Firth straniato e impeccabile, premiato a Venezia. Tratto dal romanzo di Christopher lsherwood, il film è diretto dallo stilista Tom Ford, al suo esordio nella regia, e che a un primo (prevenuto) colpo d'occhio sembra occuparsi più delle cromie e degli accessori che delle risonanze interiori. A ripensarci, però, quello che sembra essere il racconto dell'ultima giornata di vita di George, professore cinquantenne inglese e snob, assume sfumature di lieve orrore.
Il Luogo è l'America del '62, in piena crisi della Baia dei porci: solo silenzio e clandestinità per i single come lui, solitario perché gay e terribilmente solo perché ha perso il giovane compagno otto mesi prima in un incidente. Elabora un lutto devastante, ma noi lo sapremo solo per pochi sussulti, qualche granello di polvere che altera la perfezione dell'insieme e dell'abito che indossa.
Nel vuoto assordante dei favolosi Sixties pre-rivoluzione, sopravvivono il gin dell'amica alcolista (Julianne Moore, bravissima) e la seduzione di un ragazzo di passaggio. Finirà come deve finire e non come ci aspettiamo più. Può sembrare tutto troppo calcolato e glamour e, invece, è come un'invisibile crepa su un lago ghiacciato: basta un colpetto d'unghia per creare l'abisso.

Piera Detassis - Panorama

   Spiace dirlo, ma se «A single man» avesse sciorinato gli stessi frammenti di un discorso amoroso in chiave etero, la critica lo avrebbe massacrato. Invece attorno all'opera prima del texano Tom Ford, stilista bello, ricco e famoso che si regala anche il capriccio del cinema, si è creato un alone apologetico sfociato nella Coppa Volpi maldestramente assegnata a Venezia al protagonista Colin Firth. La ragione sta, purtroppo, proprio nella melensaggine e l'affettazione alquanto ricattatorie con le quali il leitmotiv gay inonda ogni minimo dettaglio del melò tratto dal romanzo omonimo di Christopher Isherwood: fingendo d'investigare sul dolore cieco generato da una perdita e i dati universali di una crisi di mezza età, Ford tratta il «male di vivere» dell'inglese George Falconer docente nel '62 all'università di Los Angeles solo come un mezzo per potere firmare una sorta di maxispot dai colori, luoghi, situazioni, volti, look, dialoghi leccati sino all'inverosimile. Disperato per la morte del compagno e appena toccato dall'esterno clima di panico (gli Usa stanno vivendo l'acme della crisi dei missili sovietici impiantati a Cuba), il professore cerca conforto nell'incontro con una fascinosa tardona anch'essa alle prese con la depressione e nella relazione con uno studente che non vede l'ora d'accettare la propria omosessualità. Tanto poeticismo glamour, corredato da flou tremolanti, baci in formato cartolina, bagni nudi nell'oceano e pesanti strati di belletto che penalizzano persino i primi piani dello spaesato Firth, non riesce a coprire la vacuità di fondo.

Valerio Caprara - Il Mattino

promo

A Single Man racconta un giorno nella vita del professore di letteratura inglese George Falconer (uno straordinario Colin Firth, premiato a Venezia), sconvolto dalla morte improvvisa dell'uomo con cui viveva. Controllatissimo, elegante, quasi metafisico, sinceramente convesso senza pietismi su un uomo che in una giornata deve riuscire a rimuovere la propria solitudine o decidere di chiudere con la vita. L'esordio dello stilista Tom Ford, già designer di moda per Gucci e Saint-Laurent, è un gioiello di modernariato e di mimetismo: patinato e talvolta lezioso, ma sempre suggestivamente coreografato. Un esordio in "grande stile", fascinoso e toccante.

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LUX - febbraio 2010

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