Abluka
Emin Alper - Turchia/Francia/Qatar 2015 - 1h 59'

VENEZIA 72 - Concorso

    Sulla scia del trionfo a Cannes 2014 di Winter's Sleep di Ceylan, il cinema turco si presenta a Venezia con un altro film importante, capace di dividere il pubblico e la critica. Si tratta di Abluka, Frenzy, Follia, opera seconda (era già stato premiato a Berlino con il Premio Caligari per la sua prova d'esordio Beyond the Hill) del regista Emin Alper.
Uscito di prigione in libertà condizionata dopo vent'anni ivi trascorsi per un grave e misterioso delitto di cui non sapremo mai nulla, Kadir viene "assunto" da un viscido funzionario di polizia, Hamza; suo compito, pena il ritorno in carcere, sarà ispezionare i cassonetti di una degradata periferia dove si sospetta agisca un gruppo terroristico, alla ricerca di tracce di esplosivi e simili. Nello stesso quartiere abita il fratello (minore di vent'anni) Ahmet. Abbandonato da moglie e figli, egli è a capo di una squadra comunale dedita all'abbattimento (non alla cattura!) dei cani randagi. Sembra subito evidente l'assurdità e la simbolicità dei due mestieri. Frugare nell'immondizia: tutti possono essere colpevoli, tutti devono essere tenuti sotto controllo. Uccidere i cani come metafora degli ultimi, dei diversi, la cui eliminazione è simbolo della spietatezza di un potere di cui i due fratelli sono esecutori e soldati.
A fare da sfondo una città indefinita (Istanbul?) di spettrali grattacieli, strade dissestate continuamente percorse da mezzi militari, la notte squarciata dai rumori delle esplosioni e illuminata dalle fotoelettriche dell'esercito. È la Turchia laica di Ataturk, senza moschee, né donne velate, né folklore alcuno, in compenso militarizzata, percorsa da un disagio diffuso, in preda a un terrore invisibile, ma palpabile; è forse questa la Turchia di Erdogan?
In un crescendo di episodi, a volte non sempre comprensibili o collegabili tra loro, si va verso una "follia" diffusa: i misteriosi vicini Alì e Meral che scompaiono (fuggendo da chi?), l'esagerata solerzia di Kadir che arriva a vedere nemici dappertutto, l'inspiegabile diffidenza del fratello minore, il reiterato passaggio a bordo di uno scooter di un terzo amatissimo fratello di cui si sono perse le tracce da tempo, ma che Kadir dice di riconoscere dagli occhi ("E' lui"). E' forse questo terzo uomo il fantasma di chi non ha accettato di mettersi al servizio del potere e si è dato alla macchia, al possibile terrorismo? Si, perché
Abluka è questo: un film sul terrorismo reale o immaginario, del potere e contro il potere, il terrorismo diventato ormai quasi una categoria della realtà e dello spirito, con cui tutti dovremo imparare a convivere. Unica nota discordante, l'involontario sacrificio di Ahmet che, impietositosi di un randagio ferito lo porta a casa per curarlo e morirà (scambiato per un terrorista) nell'assurdo tentativo di nasconderlo.
Film discontinuo, molto lento all'inizio, e soprattutto, e qui sta la genialità della regia, continuamente aperto ad interpretazioni contrastanti. Quasi ogni scena è "doppia", vista prima con gli occhi di un protagonista e dopo attraverso quelli di altri personaggi; è questa la sfasatura, l'allucinazione di tutti e su tutto, che giustifica il titolo Follia.
Ingiustamente escluso da qualsiasi premio,
Abluka è un film premonitore? Certo che sì. Il recente episodio dei 150 morti di Ankara è emblematico: chi c'è dietro? A chi giova (cui prodest)? E soprattutto what's next? Alper ci aveva preparato a questo.

Giovanni Martini - ottobre 2015 - pubblicato su MCmagazine 38