L'amore ritorna
Sergio Rubini - Italia 2003 - 1h 50'


sito ufficiale

da La Repubblica (Paolo D'agostini)

       Non c'è dubbio, film precedente in archivio Rubini film precedente in archivio lo deve sapere e non può meravigliarsi se viene notato e diventa materia giornalistica e critica: ha fatto un film sovresposto, spudorato nell'investimento di sé. Dove si è messo in scena, scopertamente autobiografico. Un attore (l'alter ego è Fabrizio Bentivoglio) stufo o almeno insoddisfatto di fare l'attore per altri e impaziente di esprimersi in proprio. Che ha avuto una moglie attrice (Margherita Buy, realmente ex moglie di Rubini e le coincidenze non si fermano qui) e una relazione con un'altra attrice (nel film Giovanna Mezzogiorno ma, tocca dirlo, "fa" Asia Argento). Ha ripudiato le sue origini provinciali e meridionali per mimetizzarsi con il mondo romano dello spettacolo, ha sofferto la malattia della dipendenza dai consensi e dai suoi flussi che vanno e vengono (coincidenza: la stessa materia sta nel film appena girato da Giuseppe Piccioni). Il film racconta una crisi catartica che, un po' inventando e un po' prendendo dal percorso umano e artistico dell'autore, chiama a raccolta la coralità di coloro che vi hanno preso parte, genitori compresi: quel padre vagamente felliniano - spudorato anche questo richiamo al maestro dei maestri - è il vero papà di Sergio. Luca Florio sta girando un film da protagonista e si ammala apparentemente in modo grave. Non vuole saperne del ricovero e delle cure, da principio, teme di perdere la battuta e l'attivismo della piena maturità. Ma piano piano le cose cambiano. Molto c'entra, nel viavai intorno al letto del malato, la presenza dapprima imbarazzante ma invece preziosa del compaesano amico d'infanzia Giacomo che fa con umiltà e buonsenso il medico (Rubini lo interpreta collocandosi in un ruolo che lo rende osservatore di se stesso). Il quale gli salva la vita facendogli la diagnosi giusta e quindi, in via metaforica, rappresenta la fondamentale mano tesa che aiuta Luca (Sergio) a uscire da una crisi che è soprattutto esistenziale. A rintracciare i legami interrotti e vitali con le origini (tema sul quale Rubini insiste, con la complicità di Domenico Starnone nella scrittura, da Tutto l'amore che c'è) e con quanto esse evocano di irrazionale, magico, sensitivo. Se ci fosse un'ombra di equivoco: questo film ci è piaciuto molto. E' denso e contagiosamente autentico proprio perché straripante, senza freni. E benissimo ha fatto il regista a contenere la sottolineatura del "cinema nel cinema", avrebbe mortificato la generosità di emozioni: è nelle cose che questo sia il racconto di come Rubini ha risolto i propri sospesi raccontandoli, senza spiegarlo. Partecipazione - vero cammeo - di Michele Placido in camice bianco da applauso a scena aperta.

da Film Tv (Emanuela Martini)

       «L'amore è come un giorno/abbagliato dal sole/se ne va, se ne va» canta Ornella Vanoni nel settimo film di Sergio Rubini. La storia di ognuno di noi - come l'amore delle canzoni - va via e torna, abbagliata dalla luce del sole, bagnata dalla pioggia, stordita e fraintesa nei ricordi. Nella storia di Luca (un impeccabile Fabrizio Bentivoglio con gli occhi e il sorriso stanchi) si riflette opaca, scontornata, imprecisa, l'autobiografia emotiva del regista, lo spostamento psicanalitico di una identità codificata dalle ragioni, dai sentimenti e dai punti di vista degli altri. Di tutti quelli che, oggi, si aggirano intorno alletto della clinica in cui il protagonista viene ricoverato per un malore: la ex moglie (Buy), la produttrice (Melato), l'amico d'infanzia (lo stesso Rubini), una strampalata e infantile nuova compagna (Mezzogiorno), il padre (Alberto Rubini, vero padre del regista). Di tutte quelle presente, mai conosciute e che appartengono a un tempo in cui Luca non c'era: il fantasma di una ragazzina, cugina della madre del protagonista morta tanti anni prima, le radici, il dialetto, i suoni della terra d'origine. Tra intuizioni visive, momenti commoventi, canzonette, incisi buffi, Rubini amorevolmente assistito da una compagine notevolissima di attori, parla di sé, del cinema, dell'appartenersi e dell'appartenere a qualcun altro, del denudarsi, del ritrovarsi, del mestiere assurdo e crudele dell'attore. Un mormorare di sé in terza persona per essere più spudorato.

TORRESINO - aprile 2004