Amour
Michael Haneke - Germania/Francia/Austria 2012 - 2h 7'

Palma d'oro a CANNES
miglior film straniero

 ...È la forza dell’amore che aggira, salta, distrugge anche gli ostacoli più infami, una vita dignitosa e un talento gentile rovinati dalla violenza della malattia e dall’inesorabilità della vecchiaia. Haneke ci porta nella quotidianità di una coppia ottantenne, con poche inquadrature e gesti impercettibili ci fa intuire un sentimento grande e consolidato, poi con lucidità ci pone di fronte al dolore. Secco, inevitabile, infame: va lì a togliere a lei la musica, ragione di vita, a lui la compagna vitale e sveglia che ama da sempre. Basta uno sguardo fisso, un blackout e il nostro cuore è pieno d’angoscia. E Haneke come al solito, non ci salva dall’ingiustizia, dalla consequenzialità di ciò che racconta, dalla sua coerenza di immagini e parole (poche, ovvio) che ci soffocano e allo stesso tempo ci portano dentro una narrazione di grande respiro. In un gioco metacinematografico il regista dà a EmmanuelleRiva e Jean Louis Trintignant - interpretazione maestosa la loro - Isabelle Huppert come figlia, ago di una bilancia rotta. Perché la fine è nota e inevitabile, certe malattie contagiano tutti e rovinano più vite: lei, che si perde, ma anche lui roso dall’inadeguatezza, dalla disperazione, da un amore fedele contro ogni avversità.
Parlare di certe cose è difficilissimo, mostrarle è quasi impossibile: Haneke però trova nella sua poetica e nella sua etica, lucide fino alla ferocia, la chiave per non cadere nel patetismo e, allo stesso tempo, immergerci nel dolore. E certi interrogativi che si vorrebbero risolvere per legge qui si esplicano nella loro immensità. Ogni contraddizione, qui, viene al pettine, e nulla sembra scontato o ideologico. Ma naturale, come lo sono la vita e la morte.

Boris Sollazzo - Pubblico

   Il momento più difficile della vita, che naturalmente è la fine, in un film che tiene fede per due ore al suo titolo: Amour. Senza effetti di stile, ma con un linguaggio sorvegliatissimo che esalta la prova davvero magnifica dei protagonisti. E senza ricorrere a medici, letti d’ospedale, flebo, cateteri e altri elementi ricattatori, immancabili nella pornografia del dolore oggi dilagante. Anzi senza mai uscire dal vasto appartamento parigino in cui vivono gli anziani musicisti Emmanuelle Riva e Jean-Louis Trintignant. Se non nel prologo, un concerto visto dal palcoscenico, perché sono loro due a interessarci. Unica concessione al mondo esterno insieme a qualche giornale, alle visite della figlia (Isabelle Huppert) o di un ex-allievo ora famoso concertista, e a un piccione bizzarro che si ostina a entrare dalla finestra. Come la vita che resiste, malgrado tutto.
Dopo film magnifici e terribili come
Funny Games, La pianista, Niente da nascondere, Il nastro bianco, si poteva temere che il regista austriaco avrebbe riservato la stessa durezza agli ultimi mesi di questa coppia unitissima e devastata dalla malattia improvvisa di lei. Falso allarme. Haneke non è mai stato più delicato, anche se non fa sconti. Dal primo malore al ritorno a casa dopo l’operazione, al progressivo e inesorabile deteriorarsi della Riva (la grande protagonista di Hiroshima mon amour), fino al momento estremo, sullo schermo ci sono solo loro, i loro ricordi, i loro sentimenti, quella casa piena delle cose di una vita. Insomma i loro sentimenti, ma senza mai un’ombra di sentimentalismo (perfino la musica è usata con parsimonia ammirevole).
Questione di sguardo: Haneke coglie bellezza, e tenerezza, e sentimenti indicibili, nei momenti più imprevisti (quel goffo abbraccio per alzare la moglie inferma e farla sedere sulla poltrona che diventa un paradossale pas de deux). Concentra decenni di routine e probabilmente di felicità coniugale in poche frasi, un campo lungo, un lampo di civetteria o di ironia («Tu che diresti se al tuo funerale non venisse nessuno? - Oh... niente probabilmente!»).
E difende la libertà di scelta dei malati e dei loro cari (mai più in ospedale chiede la Riva, e il marito promette) senza fare proclami, ma con una discrezione e insieme un’empatia che dovrebbero proibire per sempre di etichettare il bellissimo
Amour, dominato dall’insofferenza dei protagonisti per quel male che non solo li aggredisce ma invade la vita che gli resta, come un film «su» - sulla malattia, la vecchiaia, eccetera. Da vedere in originale naturalmente, per cogliere ogni vibrazione, ogni sfumatura, di questa partitura carezzevole e implacabile. Come lo sguardo che Haneke posa sui suoi due memorabili protagonisti.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

promo

Georges (Jean-Louis Trintignant) e Anne (Emmanuelle Riva) sono ormai ottantenni e, dopo una vita passata a insegnare musica, si sono ritirati in pensione, soddisfatti anche della carriera della figlia Eva (Isabelle Huppert), musicista che vive all’estero con la sua famiglia. Ma l’amore che lega i due anziani coniugi sarà messo a dura prova nel momento in cui Georges dovrà rapportarsi con l’umiliazione e la degradazione provocata da un ictus...
Ci voleva un regista rigoroso come Michael Haneke, per mettere in scena una coppia di ottuagenari che guarda in maniera diretta la propria estinzione. Un cinema altissimo, laico e morale reticente sulle cause ma attento agli effetti e agli affetti di una scarna dimensione teatrale. Unica concessione per Haneke è l'amore, l'amore del titolo, consentito insieme alla disperazione, alla rabbia e alla ribellione.

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