Berlin Alexanderplatz
Rainer Werner Fassbinder - RFT 1980 - 14 episodi - 15 h 33'

  

...Neanche la Germania, nella pluralità dei suoi autori, ha fatto un figurone: Der aufstand (L'insurrezione) di Peter Lilienthal è uno pseudo-film dell'America latina, girato, nello stile e nella provocazione tematica, con qualche anno di ritardo; da Lena rais (Christian Rischert) ci si aspettava di più, Charlotte (Hanna Frenzel) dicono abbia una grande poesia di contenuti ma una certa staticità di esecuzione e La repetition generale (Werner Schroeter) sembra sia soltanto una "suggestione visiva" (è un documentario d'autore sul Festival di Nancy). Ma lei (la Germania) può gloriarsi del suo Rainer Werner Fassbinder, panzer barbuto con abominevole canottiera traforata, ma genio maestoso del nuovo corso tedesco, uomo che il cinema ce l'ha nel sangue, che lo respira, lo vive, lo fa con un'intensità scenica e tematica tutta palpabile di film in film (oltre trenta in quindici anni di attività), di fotogramma in fotogramma.
Berlin Alexanderplatz è certamente il ricordo più pregnante di questa estate veneziana. Gli altri sono film più o meno belli, più o meno ricercabili alla loro uscita in sala pubblica, ma Berlin Alexanderplatz é come un torbido sogno del singolo spettatore, un incubo magico, caro ed ansioso, che cercherà di rivivere (è un'altra produzione della Rete 2) nella disattenzione familiare del piccolo schermo. Chissà quale effetto farà la dolorosa istoria narrata da Fassbinder (anche sceneggiatore del romanzo omonimo di Alfred Doblin) in tv: è un racconto lungo (14 puntate per quasi 16 ore complessive), fortemente aspro, triste, ed il meticoloso lavoro alle luci di Xaver Schwarzenberger, coi riverberi sfavillanti delle fonti luminose a fendere le tenebre bruno cupo, non incoraggerà certo il pubblico occasionale.

Eppure com'è languida e tragica la colonna sonora di Peer Raben, com'è toccante e fraterno il cammino di Franz Biberkopf. "Franz, mio povero Franz" gli ripete spesso Eva (Hanna Schygulla), angelo biondo che gli alita sempre accanto.  "Germania, povera Germania" sembra sospirare Fassbinder, poiché Biberkopf è, come la protagonista de Il matrimonio di Maria Braun, l'incarnazione dello stato tedesco. Qui siamo però negli anni venti, c'è lo spirito pre-Reich di un popolo che é smarrito e cerca una dimensione di crescita, invischiandosi in propositi insostenibili e in sordidi patti. Franz esce di prigione dopo quattro anni (aveva ammazzato in uno scatto d'ira la sua fidanzata Ida) ed anche ora, che canta a squarciagola "sta la sentinella all'erta" nell'aria fresca e libera di Berlino, il ricordo di quel gesto violento lo perseguita a ritmi frequenti.

Così egli, vagabondo spirituale dell'Alexanderplatz, cerca di costruirsi una vita onesta con l'aiuto di Meck e Lina, viene coinvolto dal suo nuovo amico Reinhold (Gottfried John) prima in un balordo giro di donne poi nei loschi traffici della banda Pums, perde un braccio  proprio per opera del crudele Reinhold, riscopre la trafila dei vuoti di bottiglia, conosce la tenerezza di Mieze (Barbara Sukowa), la prostituta che è "un cuore dalla testa ai piedi" e che lo ama e lo mantiene; poi si riinvischia con l'amico-nemico Reinhold e quello gli uccide la sua Mieze gettandolo così nel gorgo della pazzia, nel brulicare surreale ed apocalittico dell'ultima puntata, al termine della quale la suadente voce fuoricampo può solo concludere che "su di lui non si può raccontare più nulla".

Berlin Alexanderplatz è un "piano sequenza di suggestioni" che prendono forza nei flash-back ossessivi dell'uccisione di Ida, nella latente omosessualità che scaturisce dal legame con "l'angelo del male" Reinhold, nel luminoso monologo di Franz coi bicchieri di birra, nella dolcezza degli istanti felici passati accanto a Mieze, nell'ambigua retorica delle didascalie e dei titoli parziali, nella nebbia irreale che fa da sudario alla tragica fine di Mieze, nel delirio d'immagini che sconvolgono l'ultima tappa di questa "passione" tedesca. Ma costantemente il senso globale si concretizza attorno alla massiccia presenza di Franz Biberkopf, uno straordinario Gunther Lamprecht «solido come Emil Jannings e con negli occhi il folle smarrimento di Peter Lorre».

ezio leoni - VENEZIA CINEMA '80 - Espressione Giovani novembre-dicembre1980

 

Nel romanzo di Döblin Fassbinder trova un tema centrale della sua poetica: il rapporto tra due uomini (Biberkopf e Reinhold) mediato dall'affetto/possesso di una donna. In una intervista il regista dichiarò di essersi proiettato non in uno, ma in 3 personaggi: Biberkopf, Reinhold e la prostituta Mieze. Dopo aver mantenuto le distanze dal primo per 13 puntate, se ne approfitta nell'epilogo onirico (Il mio sogno da un sogno di Franz Biberkopf): l'allucinazione del personaggio si sovrappone alle ossessioni del regista in un flusso di simboli psicoanalitici e di riferimenti storici.


 cinema invisibile TORRESINO gennaio-marzo 2008