Il capitale umano
Paolo Virzì - Italia 2014 - 1h 49’

DAVID DONATELLO 2013


 Con questo film - il suo undicesimo lungometraggio - film precedente in archivioPaolo Virzìfilm successivo in archivio sembra voler imprimere una svolta al suo modo di fare cinema, una svolta che allenta i «legami» con la forma-commedia a favore di una più complessa struttura narrativa e una più equilibrata lettura psicologica. A favorirlo è il romanzo di Stephen Amidon il cui titolo resta invariato anche per il film, Il capitale umano, e di cui rispetta la complessità temporale ma non l'ambientazione (dal Connecticut alla Brianza) scrivendo la sceneggiatura con Francesco Bruni e Francesco Piccolo. Non un passaggio al dramma tout court ma un'evoluzione dal genere in cui si era esercitato fino a ieri verso una narrazione più complessa e ambiziosa. Bisogna però aggiungere, per evitare ambiguità, che Virzì non perde la sua capacità di graffiare attraverso l'ironia - come dimostrano alcuni personaggi, su tutti quello del critico teatrale Russomanno affidato a Luigi Lo Cascio - e soprattutto affina la capacità di ottenere il meglio dai suoi attori, come dimostra per esempio Fabrizio Gifuni che dà qui la sua prova migliore, convincente e intensa, oppure trasformando i supposti limiti in qualità, come fa con Valeria Bruni Tedeschi, davvero ammirevole (e non è la prima volta che gli riesce con un'attrice. Come dimostra Nicoletta Braschi in Ovosodo o Monica Bellucci in N - Io e Napoleone). Per non parlare dei giovani, esordienti o quasi, tutti ottimi. Dove convince meno è quando sottolinea le inflessioni lombarde - da baùscia vanziniano, alla Nicheli - nel personaggio affidato a Fabrizio Bentivoglio: il suo Dino Ossola, piccolo agente immobiliare convinto di poter fare il colpo della vita grazie alla familiarità col finanziere Bernaschi (Gifuni), si comporta - specie all'inizio del film - come fosse in una commedia ridanciana, inanellando sbruffonate e ostentando urticanti familiarità. Probabilmente al regista serviva per rimarcare ancora di più il cambio di passo che si sarebbe consumato durante il film, dal sorriso al cinismo, ma forse non ha tenuto conto di come un'eccessiva caratterizzazione regionale rischiasse di scivolare verso la farsa. Gli exploit lombardi, comunque, passano in secondo piano quando i vari personaggi del film iniziano a essere coinvolti nella tela gialla che ha steso il caso (...). Tutta questa materia, Virzì la racconta da tre punti di vista, così che gli stessi fatti trovino spiegazioni e informazioni diverse. Ma più che la soluzione del giallo (che pure arriverà alla fine) gli interessa la descrizione di un mondo che, come dice la moglie di Bernaschi, «ha scommesso sulla sconfitta dell'Italia. E ha vinto». Mai come in questo film, lo scontro generazionale tra genitori e figli è così netto e deciso: l'età non è un discrimine di bontà o cattiveria ma di responsabilità. Soprattutto i padri (veri o «putativi», come quello di Luca) sono lo specchio di un Paese che ha tradito qualsiasi ideale in nome del denaro e le cui azioni finiscono inevitabilmente per far sentire le proprie conseguenze sugli altri membri della famiglia: con un maggior grado di corresponsabilità sulla moglie, con effetti più distruttivi sui figli. Il capitale umano questo quadro lo racconta con forza e durezza, senza concedere facili sconti a nessuno (...) e con un acre senso di beneaugurante moralità, soprattutto dopo l'eccesso natalizio di commediole assolutorie e pacificatrici. Qui alla fine tutti escono sconfitti, anche quelli che sembrano convinti di aver vinto, lasciando allo spettatore il compito di riflettere sui valori per cui vale davvero la pena di combattere.

Paolo Mereghetti - Il Corriere della Sera

 Fredda, grigia, ostile. Popolata da squali della finanza, padri infantili e competitivi oltre ogni ragionevolezza, signore ricche e annoiate, patetici piccolo borghesi alla disperata ricerca di riscatto sociale, aristocratici giovani rampolli mammoni e piagnucolosi, uomini d'affari dal soldo facile che scommettono sul fallimento del nostro paese. Teatro di un incidente che vedrà un ciclista schiacciato da un Suv, delitto che intreccerà i destini di due famiglie posizionate su diversi gradini della scala sociale, ma unite dal comune desiderio di fare soldi e dalla disattenzione nei confronti dei propri figli. La Brianza di Paolo Virzì, grande protagonista del suo ultimo film, Il capitale umano, (...) potente, coraggioso apologo morale sul valore anche monetario della vita umana, che apre al cinema italiano strade di respiro più ampio e internazionale, non è piaciuta ad alcuni lombardi, gli amministratori di Como e Monza, che hanno attaccato il regista livornese colpevole a loro parere di mettere in scena solo stereotipi. Il paradosso sarebbe poi che Virzì, il quale ha ottenuto il contributo di 700mila euro dal Ministero dei Beni Culturali, avrebbe offerto un ingiusto adesco di 'una delle aree che più contribuisce a finanziare i bilanci dello Stato, tra cui proprio il Ministero dei Beni Culturali', come sostiene l'assessore leghista al Turismo della Provincia di Monza e Brianza Andrea Monti. E pensare che l'omonimo romanzo di Stephen Amidon da cui è tratto il film, interpretato tra gli altri da Fabrizio Gifuni, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Luigi Lo Cascio, è ambientato oltreoceano, in Connecticut e il regista ha dichiarato di essersi avvicinato a un luogo per lui sconosciuto come un esploratore farebbe in un posto esotico. «Ho scelto di ambientare il film in Brianza - ha dichiarato Virzì - perché mi sembra il territorio dove il riverbero dell'economia sulla vita delle persone è più significativo».

Alessandra De Luca - Avvenire


promo

In una provincia del Nord Italia, alla vigilia delle feste di Natale, sullo sfondo di un misterioso incidente, si incrociano le vicende dell'ambizioso immobiliarista Dino Ossola, di una donna ricca e infelice che desidera una vita diversa e di una ragazza, sottomessa ai voleri del padre, che sogna un amore vero. Un quadro umano e sociale raccontato con forza e durezza, senza concedere facili sconti a nessuno e con un acre senso di beneaugurante moralità. Il primo film drammatico di Virzì (ma qualche risata, qua e là, ci scappa), certamente tra i suoi migliori.

cinélite giardino BARBARIGO: giugno-agosto 2014