La città ideale
Luigi Lo Cascio
- Italia 2012 - 1h 45'

 Una notte, a Siena, un comune cittadino, un po’ fissato con l’ecologia ma dotato di senso civico forse superiore alla media, si ferma a soccorrere un uomo ferito sul ciglio della strada. Non immagina di diventare il sospettato numero uno. Da qui parte «La città ideale», l’esordio alla regia di Luigi Lo Cascio, con cui a Venezia si è aperta tra gli applausi la Settimana della critica. È un incubo kafkiano, un giallo paradossale alla Dürrenmatt: ma è anche una commedia grottesca, italiana nel senso migliore. Perché parla della realtà che ci circonda. E perché sorprende, mescola gli stili, non ha paura di portare lo spettatore verso territori inesplorati: come sapevano fare i registi del passato.
Reso noto da I cento passi e La meglio gioventù, il quarantaquattrenne Lo Cascio ha saputo evitare la sovraesposizione che ha afflitto alcuni suoi colleghi. Ha portato sul palcoscenico progetti come «La tana» (da Kafka) e «La caccia» (da Euripide). E torna al cinema da attore, sceneggiatore e regista, con un progetto personale, ostinatamente voluto, lontano anni luce dal cinema televisivo e piagnone. Forse l’esempio di Sorrentino ha lasciato il segno: perché
La città ideale è un film massimalista, che trabocca di idee, non teme l’accumulo, sa essere felliniano quando ce n’è bisogno (vedi la gigantessa inquietante), inventa un finale quasi alla
Antonioni, e nel frattempo fa riflettere su un Paese tutt’altro che ideale: la verità è una questione mediatica, la giustizia è una farsa, l’unica certezza è la ricerca del fango celato in ciascuno di noi. Se Lo Cascio riesce nel suo intento, è anche perché dirige una squadra di attori formidabile, tutti di origine teatrale: Luigi Maria Burruano, Massimo Foschi, Alfonso Santagata. Ed è da applausi anche Aida Burruano, madre di Lo Cascio nel film e nella vita.

Alberto Pezzotta - ViviMilano.it

  La città ideale è il solo film italiano selezionato per la Settimana Internazionale della Critica ed è anche il primo film scritto e diretto da Luigi Lo Cascio, un altro attore che, sull’esempio di parecchi suoi colleghi, ha scelto a sua volta di diventare regista.
Un ottimo esordio. In una cifra così amara da giustificare ampiamente una battuta che un personaggio cinico pronuncia nel corso dell’azione: “Gli uomini vogliono vincere, non cercano la verità”. Il protagonista del film, invece, è tra quei pochi che, in tutto, cercano solo la verità.
Si chiama Michele Grassadonia, lavora a Siena in uno studio di architettura e ha una passione, l’ecologia, professata così integralmente da vivere in una casa senza acqua corrente, gli basta quella piovana, facendo a meno della luce, per risparmiare energia e guidando solo auto elettriche perché non inquinano.
In una sera di pioggia sta appunto guidando una di quelle auto quando prima sente un urto poi, più in là, intravede nel buio una specie di fagotto per terra. Torna indietro e si rende conto che quel fagotto è in realtà un uomo forse investito da un auto. Chiama la polizia e da quel momento per lui comincia il calvario. Alle tante domande che gli vengono rivolte risponde quello che sa, ma viene frainteso, sospettato di reticenze e presto si ritrova con un avviso di garanzia che, morto il ferito, si trasformerà nell’accusa di omicidio colposo. Attorno gli si fa subito il vuoto. Lo studio di architettura lo declassa e invano gli avvocati che lo avvicinano cercano di indurlo a dichiarare qualcosa che possa meglio convincere i giudici. Anche l’ultimo che, sollecitato da sua madre e da lui raggiunto nella natia Palermo, gli pone reciso il dilemma: delle menzogne ben congegnate o una condanna sicura. Michele non risponde e guarda di fronte a sé… La sua risposta, comunque possa essere formulata, Lo Cascio sceneggiatore l’ha abilmente preparata nel corso di tutta l’azione disegnandola per di più sulla sua faccia di attore in cifre di una desolazione sconvolgente: in tutto e per tutto simile a quel
personaggio di Kafka finito tra le maglie del
Processo.
Ne saluto la bella interpretazione insieme però con le sue doti nuove, di sceneggiatore e di regista. Un’altra delle sue vittorie. Fra gli interpreti non si dimentichi Luigi Maria Burruano, quasi un monumento al cinismo più abietto.

Gian Luigi Rondi - Il Tempo

  Michele Grassadonia è un ecologista sensibile e integralista. Architetto palermitano, ha lasciato la Sicilia per la Toscana, dove abita quella che lui considera la città ideale, Siena. Inviso ai colleghi, vive solo in un appartamento spartano, dove sperimenta energie alternative. Una sera di pioggia tampona un'ombra e finisce contro un'automobile parcheggiata. Qualche chilometro dopo rinviene il corpo di un uomo riverso sull'asfalto. Chiamati i soccorsi, viene interrogato dalla polizia stradale sull'accaduto. La macchina ammaccata e alcune sfortunate circostanze, convincono gli agenti della colpevolezza del Grassadonia, che da soccorritore diventa indagato. È l'inizio di un'avventura paradossale e di una ricerca angosciata della verità.
Si respira l'aria di impegno civile del cinema di Francesco Rosi e l'indignazione e la tensione morale di Leonardo Sciascia nell'opera prima di Luigi Lo Cascio, attore autore che, alla maniera del personaggio che lo ha reso celebre (il Peppino Impastato di Marco Tullio Giordana
), sogna di cambiare il mondo e di renderlo meno ingiusto e più pulito. Per questa ragione scrive e interpreta Michele Grassadonia, un uomo che crede nel valore dell'impegno civico e nella solidarietà sociale. Sempre dimesso, sempre gentile e alla ricerca della parola bella e appropriata, il protagonista viene precipitato in un incubo giudiziario che gli aliena amici e cittadini. Emarginato e diffamato, scoprirà a sue spese che la città ideale nasconde mostri dall'aspetto normale.
Con uno stile secco e asciutto, Lo Cascio svolge un tema robusto, denunciando l'incoscienza civile, le derive giudiziarie, i contratti sociali fondati sulla connivenza, l'indifferenza e la mancanza di pudore.
La città ideale, con singolare forza simbolica, mette in schermo il trauma di chi si sente e si vuole 'diverso' rispetto alla cultura diffusa e condivisa da tutti. Lo Cascio individua quel trauma, lo mette a fuoco e poi lo indaga incarnando il suo personaggio, accompagnandolo con lo sguardo dentro la macchina della giustizia e dell'umana (in)comprensione. Posseduto dal proprio demone, l'ecologista Grassadonia coltiva sogni, speranze e illusioni che si spengono, proprio come accadeva ne I cento passi, sul volto di Luigi Maria Burruano, là padre piegato alla legge del più forte, qui (il)legale al servizio della Legge. Lo Cascio è bravo a costruire un robusto film di attori. Un debutto importante e maturo, che nel dilagare di tanta bruttezza prende le parti della bellezza.

Marzia Gandolfi - Mymovies.it

promo

Michele Grassadonia (Luigi Lo Cascio), un militante ecologista, lascia la Sicilia per andare a vivere a Siena, città ideale in cui è possibile convivere con la natura un rapporto armonico. Qui, da un anno prova a vivere senza usare energia elettrica e acqua corrente. Dopo che una notte un incidente lo imbriglia in una situazione dalla quale non riesce più ad uscire, si ritrova a mettere in discussione ogni sua convinzione e a confrontarsi con funzionari, politici e giudici dal comportamento ambiguo...
Si respira l'aria di impegno civile del cinema di Francesco Rosi e l'indignazione e la tensione morale di Leonardo Sciascia in questa opera prima; Lo Cascio, con uno stile secco e asciutto, sa costruire un robusto film di attori e di sceneggiatura. Un debutto importante e maturo, ancora fragile e imperfetto nell'esecuzione, ma dotato di un disegno e di ambizioni davvero inconsuete.

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 LUX - aprile 2013

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