da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
È una storia di fantasmi Cuore sacro di Ferzan Ozpetek , film tutto costruito su un sistema di dualità (la protagonista ha due zie, incontra due uomini, si muove in due luoghi opposti), come afferma lo stesso regista, ma soprattutto su una coppia di spettri: fantasmi benefici, capaci di trasformare la vita della rampante Irene. L'uno, antico, è quello della madre, di cui la donna scopre illeggibili alfabeti tracciati sui muri della vecchia casa di famiglia; l'altro è ciò che resta di una strana bambina, che ancora viva pretendeva di farle da spiritello-guida. Già queste scelte fanno intuire quanto sia insolito, coraggioso e rischioso il nuovo film del regista de La finestra di fronte: un coraggio raro nel nostro cinema, di cui gli diamo atto con ammirazione. E tuttavia le immagini, impeccabili per grammatica e sintassi, non sono al livello di ambizioni così alte, non lasciano graffiti nella fantasia dello spettatore, stentano a dare forma al travaglio febbrile dell'imprenditrice senza scrupoli convertita in angelo della carità per vecchi e "nuovi poveri". Qualcosa di simile accade con le citazioni disseminate lungo il film, dalla sequenza della piscina (Il bacio della pantera) al santo strip-tease d'Irene (Teorema di Pasolini, autore col quale Ozpetek condivide il bisogno di sacro): eleganti, ma più "optional" che necessarie. Ormai legata a filo doppio a ruoli di smarrimento interiore, Barbora Bobulova si offre in olocausto con l'opportuna dedizione. |
da Il Manifesto (Silvana Silvestri) |
La nota del melodramma è sempre tenuta alta, Ozpetek sa come muovere i fantasmi messi sulla carta da Gianni Romoli, è comune l'esigenza di mettere in scena l'assenza, il desiderio di ritrovare i segni delle tante persone scomparse. E nel climax del film si scatena la visione francescana (anche quella dei dervisci, o di altre religioni, dice Ozpetek, ma a noi piace il riferimento rosselliniano), san Francesco all'Anagnina. Irene vede la povertà dilagante, si spoglia di tutto, usa il palazzo avito per l'accoglienza e per creare una mensa, aiutata da un prete al suo fianco che porta il nome impegnativo di padre Carras (Massimo Poggio). Sulla direttrice Powell-Pressburger-Ophüls-Tourneur-Friedkin-Rossellini, incrociamo la palpabile messa in scena della vera realtà invisibile, quella della sofferenza e della povertà, lo scandalo delle società opulente, del capitalismo avanzato. Utilizzando il genere «ghost» si materializzano le comunità, la società alternativa, penetrando nel film si compie una sorta di via crucis laica o religiosa, con alcune poste ben visualizzate come ad esempio una «pietà» pericolosa a mettersi in scena con Andrea Di Stefano un po' Cristo e molto Che Guevara. Come sempre Ozpetek utilizza gli attori in modo differente, originale nelle scelte e sovversivo rispetto alla consuetudine (i bei volti maturi come sa fare il cinema francese, spagnolo, inglese, chiunque tranne il cinema italiano). Se Moretti ne La stanza del figlio ha voluto coinvolgere tutti nella sua personale riflessione sulla morte e Bellocchio ci ha dato un approfondimento problematico ne L'ora di religione, Ferzan Ozpetek in Cuore sacro spalanca le porte dell'emozione. Così ha proceduto nella messa in scena e con gli attori, così la raccolgono gli spettatori, frastornati da tanta sovrabbondanza di domande. |
cinélite TORRESINO all'aperto: giugno-agosto 2005