Dante Ferretti: scenografo italiano
Gianfranco Giagni - Italia 2010 - 52'

Venezia 67 - Fuori concorso

    Presentato Fuori Concorso (in anteprima mondiale) in occasione del Premio Pietro Bianchi, fiore all’occhiello del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani, il documentario di Gianfranco Giagni è un puntuale e gradevole, specie dal punto di vista visivo, excursus sulla vita e la carriera di Dante Ferretti, grande artista e scenografo di origine marchigiana che nella sua lunga carriera, lavorando in Italia ed all’estero, ha meritato, nel tempo, due Oscar – rispettivamente per The Aviator di Scorsese, Sweeney Todd di Tim Burton - tre Bafta Awards, cinque David di Donatello e ben dodici Nastri d’Argento.
È già stato presentato sulle reti televisive italiane alcune settimane fa, confrontandosi così con un altro tipo di pubblico che pare aver molto gradito il veloce passaggio dal grande schermo.
È lo stesso Dante, insieme con la sua bravissima alter ego e collaboratrice Francesca Lo Schiavo, a condurre lo spettatore nei luoghi che hanno fatto da cornice ai più importanti momenti della sua vita personale e professionale: dalla sua Macerata d’infanzia agli inizi della sua carriera sempre nelle Marche sino a Cinecittà dove insieme con lui entriamo nel suo studio in cui sono raccolte e conservate tutte le…vestigia del suo affascinante lavoro, dagli splendidi disegni da cui si può ben vedere la sua grande arte, la sua facilità nell’abbozzare da subito piccoli capolavori su carta che diverranno plastici, scenografie, décors tra i più geniali – benché a volte creati da materiali poveri o da idee all’apparenza quasi banali - fino ai premi ricevuti di cui si diceva. Da rilevare la grande cultura artistica e letteraria che traspare anche dai soli schizzi, a volte: i giganti che cita spesso e sulle cui spalle ama stare hanno i nomi di Piranesi, di Escher – che senza il primo non avrebbe potuto esistere – e in mezzo il simbolismo di Moreau, il Surrealismo e l’Art Nouveau del TetiTeatro di Alberto Martini e poi tanti altri
Il documentario è arricchito da sequenze di alcuni dei più emozionanti film cui ha contribuito e da immagini di repertorio, alcune inedite, interviste e backstages che aiutano a ricostruire a tutto tondo l’anima e la carriera di un artista che non ha eguali. Tra gli inizi della sua lunga carriera ci sono anche le ancor ‘semplici’ collaborazioni con grandi registi come Elio Petri (Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto, La classe operaia va in paradiso...) fino ad arrivare ai suoi lavori sofisticatissimi, geniali, ideati addirittura contro le leggi della…fisica, come il già citato The Aviator, per cui costruì in studio la carlinga e l’interno di un grosso aeroplano, dandone una perfetta idea di realismo.
Tra gli intervistati:
Martin Scorsese, che ironicamente ammette di non parlare bene italiano ma di capirsi con Ferretti comunque, quasi un linguaggio atavico si fosse instaurato tra loro, fatto anche solo di gesti, a volte, ma pur sempre fecondo. Come fu pure per L’età dell’innocenza, la ‘bella copia’ da Senso di Visconti, specie nelle scene di interni, anche se Ferretti, molto filologicamente volle comunque rispettare il romanzo di base della Wharton.
Poi un entusiasta Leonardo Di Caprio che lo considera ‘simply a genius’. Simpatiche le testimonianze di J.J.Annaud per
Il nome della rosa, del montypithoniano Terry Gilliam che, mèmore del giovanile e lungo lavoro di Ferretti con
Fellini – feticcio/mèntore cinematografico di molti anglo-americani – lo vuole assolutamente per il suo La leggenda del re pescatore e poi gli stilisti del più grande Made in Italy come Valentino, Carla Fendi, Karl Lagelfeld – perché moda e cinema ormai sono un connubio imprescindibile, sais sa.
Alla fine, ragionando su quanto visto della sua vita e carriera, la cosa che più commuove, come capita per tutti i grandi che fanno dell’umiltà la loro bandiera, è ricordare come lui sia approdato a questa sua bella ed unica arte:
Gli Argonauti di Don Chaffey del 1962 – confessa – è il film della mia vita: senza quella pellicola, molto probabilmente, non avrei fatto il mio lavoro e forse si può capire il perché: “Il film – come scrisse M. Morandini – è un eccellente e divertente esempio di cinema fantasticomitologico. Determinante il contributo di Ray Harryhausen, mago di trucchi. Suggestive le musiche di Bernard Hermann. E che ritmo. Una meraviglia!”.

Maria Cristina Nascosi Sandri - MCmagazine 29 - ottobre 2010