Il flauto magico (The Magic Flute)
Kenneth Branagh - USA / Francia 2006 - 2h 15'

     Sulle divine note di Il flauto magico l'irlandese Kenneth Branagh ha imbastito, da meraviglioso uomo di spettacolo qual è, un film incantevole e leggiadro, anche se ambientato nel drammatico scenario del primo conflitto mondiale. Scelta sorprendente, ma non lambiccata o intellettualistica. Ascoltando e riascoltando l'ultimo capolavoro di Mozart (1791), il regista ha avvertito che quella musica ora gaia, ora malinconica e grave, conteneva una profonda istanza di pace. E così gli è parso naturale trasporre su un piano epico e collettivo il tema del conflitto personale fra la Regina della Notte e Sarastro (un contrasto già letto in chiave di crisi matrimoniale da Ingmar Bergman nel suo splendido adattamento), che si contendono la custodia della dolce e giovane Pamina. Pur tradotto in lingua inglese e blandamente attualizzato da Stephen Fry, il libretto di Schikaneder è rimasto quello; e la messa in scena si prende delle libertà che non risultano mai arbitrarie. Tamino (Joseph Kaiser) è un soldato che combatte sul fronte (all'inizio lo vediamo rischiare di venir colpito dal fuoco nemico, per cogliere un fiore, forse una reminiscenza di All'Ovest niente di nuovo) e le tre dame che gli salvano la vita sono vestite da infermiere. Ma, miracolo dei cinema, quando il valoroso giovane vedendola in foto si innamora a prima vista di Pamina (la giovane soprano Amy Carson), dalla cornice delle trincee finiamo per un momento dentro un sogno a occhi aperti in bianco e nero: a una grande festa dove lei e lui volteggiano inebriati come in un musical americano degli anni '30.
Tutto il film è realizzato con analoga spregiudicatezza stilistica ed espressiva, a volte magari debordando, ma che importa se la magia fiabesca è intatta? In versione allevatore di uccellini che segnalano la presenza dei gas, Papageno resta il delizioso ingenuo personaggio di commedia che conosciamo; avanzando ritta in piedi su un carro armato la Regina della Notte è inquietante quanto le arie che canta, mentre Sarastro diventa autorevole e pietoso soccorritore di profughi e feriti in un edificio diroccato. Anziché porsi troppe domande sui significati simbolici di un'opera intorno alla quale sono stati versati fiumi d'inchiostro, Branagh si affida alla sua sensibilità di artista: in un mondo che è un eterno campo di battaglia dove si scontrano le forze del Bene e del Male, la luce della pace può fugare le tenebre della guerra grazie alla potenza della musica e dell'amore. Questa la morale di un film condotto con ritmo arioso, traboccante di fresca inventiva e interpretato da cantanti all'altezza anche come attori, che (ne siamo sicuri) piacerebbe anche a Mozart.

Alessandra Levantesi - La Stampa

i giovedì del cinema invisibile TORRESINO ottobre-dicembre 2007