Hannibal
Ridley Scott
- USA 2001 - 2h 8'

  

   Ci sono personaggi che meritano (esigono) di evolversi nell'immaginario cinematografico, vuoi per la necessità di meglio delineare la propria personalità, vuoi per il naturale procedere della dinamica narrativa. Forse  il dott. Lecter e la sua antagonista Clarice Starling avevano il respiro giusto per un'unica avventura filmica, forse Demme (Il silenzio degli innocenti - 1991) aveva colto meglio di film precedente in archivio Ridley Scott film successivo in archivio come  interpretare cinematograficamente lo scontro tra il feroce killer-cannibale e l'intrepida agente dell'FBI, sta di fatto che l'effetto di Hannibal non va molto oltre una certa nausea da efferatezze e la voglia di rivedersi in videocassetta l'opera precedente.
Lì l'emozione scaturiva da una accurata descrizione psicologica della protagonista (l'interprete di allora, Jodie Foster, si era aggiudicata l'oscar come miglior attrice),  dalla progressiva scoperta della lucida ferocia di Hannibal (ancora rinchiuso nella sua cella d'isolamento) e dal superbo montaggio che amalgamava atmosfere incombenti e azioni sincopate. Qui si parte dall'orrido esibito del volto straziato di Mason Verger (ricco e potente, ma ridotto in quello stato - e in sedia a rotelle - da un suo incontro giovanile col folle psichiatra che lo aveva indotto ad un'atroce autoscarnificazione), che non vive che per la vendetta, mentre l'entrata in campo di Clarice (stavolta Julianne Moore) risponde al trito cliché poliziesco che prevede la caduta in disgrazia dell'eroe di turno, il  non apprezzamento da parte dei superiori, le circostanze avverse che fanno sì che il caso le sia tolto di mano. Così la vicenda si sposta a Firenze, dove Hannibal vive sotto falsa identità, ma viene scoperto dall'ispettore Pazzi (Giancarlo Giannini), il quale però, anziché svolgere regolarmente le indagini, preferisce intascare la cospicua taglia e "vendere" il criminale al malvagio Verger. Invano Clarice lo mette sull'avviso dell'impari lotta: la fine del poliziotto sarà cruenta - e coerente con la storia fiorentina dei (De) Pazzi - e Hannibal riuscirà a sfuggire all'agguato, scegliendo poi di tornane negli  States a confrontarsi con la sua nemica "sublime"…
Dopo un primo tempo statico e interlocutorio, tensione e violenza "finalmente" esplodono: Hannibal si introduce in casa di Clarice in amorevole contemplazione, instaura con lei un incalzante pedinamento per le strade di Washington, ma viene catturato dai sicari di Verger. L'orrendo destino che gli è stato preparato (essere divorato vivo da una mandria di sanguinari cinghiali) viene sovvertito proprio dall'intervento di Clarice (il garantismo della legalità come unico valore superstite!), che in un conflitto a fuoco resta però ferita  e cade, impotente, tra le braccia di Lecter.
Ci si è già sbilanciati fin troppo nel raccontare la trama di un film che nella sua essenza resta pur sempre un thriller, ma è arduo non dare ulteriori informazioni se si vuol far percepire il raccapricciante clou di
Hannibal. Riuscite a  pensare ad un uomo inebetito che dialoga col suo carnefice mentre questi gli asporta la calotta cranica, gli preleva "dal vivo" una parte frontale del cervello, la soffrigge in padella e gliela dà da mangiare? Se pensate anche di sopportarne la visione avete libero accesso a questo blockbuster di stagione che ha un perverso fascino di richiamo sul pubblico giovanile, ma che a livello cinematografico incide più sulle (re)pulsioni viscerali che sulle emozioni dell'intrigo. Resta, indiscusso, il costrutto registico di alto livello, l'interpretazione puntigliosa di Anthony Hopkins e della Moore ("da mangiare" almeno con gli occhi) e l'efficace soluzione narrativa con cui gli sceneggiatori film precedente in archivio David Mamet film successivo in archivio e Steve Zaillian (Schindler's List), nel finale, spezzano la morsa che lega sempre più drammaticamente Hannibal e Clarice. Uno scarto significativo, rispetto al romanzo di Harris, che salvaguarda il film da una certa ambiguità morale e che chiude la visione in un'aura di stoicismo romantico (e brutale) che ridà in parte vitalità al tutto.

ezio leoni - La Difesa Del Popolo  11 febbraio 2001