Insomnia
Christopher Nolan - USA 2002 - 1h 58'

da Il Sole 24 Ore (Roberto Escobar)

     C'è troppa luce nel bianco dei ghiacci che circondano Nightmute, e nella sua notte sempre accesa. Ce n'è troppa nella stanza d'albergo di Will Dormer (Al Pacino), con quella finestra esposta senza difese a un sole ostinato. E ce n'è troppa nella sua memoria di poliziotto, nei suoi occhi che non si arrendono al sonno. Questo è il cuore di Insomnia: questa sconfitta della notte, questa veglia senza tregua. Come accade, o come accadeva, per il grande cinema americano (che sa, o che sapeva, esser popolare e insieme profondo), il bel film di film precedente in archivio Christopher Nolan film successivo in archivio chiede due livelli di lettura. Il primo, immediato, è quello del racconto di genere: un poliziesco in cui le atmosfere valgono almeno quanto l'intreccio. Il secondo, più ambizioso, è quello dell'introspezione, dell'argomentazione morale. Chi è Will, oltre che un poliziotto famoso e un accanito investigatore? «Io sono quello che attribuisce le colpe»: così si definisce lui stesso, nella sceneggiatura che Hillary Seitz trae da quella scritta da Nikolaj Frobelnius ed Erik Skjoldbjaerg per un film norvegese del 1997 (Insomnia, regia dello stesso Skjoldbjaerg). Così ha fatto Will per gran parte della sua vita, e così fa a Nightmute: assume su di sé l'onere di migliorare il mondo, di liberarlo se non dalla colpa almeno dai colpevoli. Il centro del racconto di genere sta qui: per la prima volta, Will non è solo quello che attribuisce le colpe, ma un colpevole egli stesso, e la sua storia di vita rischia d'esserne ridotta a niente. Ad aumentare la sua angoscia c'è l'ammirazione che ha per lui, poliziotto perfetto, la giovane Ellie Burr (Hilary Swank). Per quanto Will cerchi di sottrarsi al ruolo di ideale e modello, la donna resta per lui uno specchio doloroso. Su di esso misura la distanza tra l'immagine che di se stesso ha coltivato a lungo e il se stesso che ora è costretto a vedere. Accanto a Will c'è Walter Finch (Robin Williams), l'antagonista in senso pieno, l'immagine rovesciata di Will: da lui tanto distante e a lui tanto vicino quanto lo può essere un'immagine rovesciata. In fondo, Walter fa il suo stesso mestiere, per quanto solo nei suoi romanzi. Forse per questo, per l'illusione di onnipotenza che ha coltivato nella scrittura, immagina di poterlo fare senza vincoli e senza limiti. Ha ucciso, Walter, ma rifiuta di riconoscersi colpevole, abituato com'è a imputarla ad altri, la colpa. E questo rifiuto inutilmente cerca di suscitare anche in Will, che è a lui appunto "vicino" nella tentazione di autoassolversi, e che lo potrebbe fare con motivazioni certo più forti delle sue. Quanto al colpo di pistola che ha ucciso il suo compagno Hap Eckhart (Martin Donovan), infatti, ben potrebbe convincersi d'averlo esploso solo per errore. Ma Will è anche "lontano" da Walter, dalla sua presunzione esistenziale, dal suo delirio d'onnipotenza. D'altra parte, la colpa che soprattutto lo tormenta, e che lo costringe alla veglia con l'ostinazione d'un sole sempre acceso, è quella d'aver forzato nella sua camera vincoli e limiti, pur di migliorare il mondo. Anche ora, con Walter, si convince d'averne diritto, per quanto proprio così si consegni nelle mani del suo antagonista, fin quasi a identificarsi con lui, come lui sporco di sangue (ripugnante è il suo frugare in una carogna, pur di attribuire all'assassino una colpa cui altrimenti quello si sottrarrebbe; e ancora più potente è l'immagine del sangue di cui s'è lordato nel passato, disseminando di prove false l'appartamento di un colpevole "vero"). L'insonnia di Will, dunque, è molto più che il sintomo d'un fallimento professionale imminente. I suoi occhi non riescono a chiudersi soprattutto perché hanno preteso di veder troppo. Nella presunzione tipica di chi supponga d'esser chiamato a migliorare il mondo, li ha caricati del peso d'ogni colpa e dell'onere d'ogni salvezza, saturandoli delle immagini più insostenibili e disumane (infatti, in quel che resta d'una adolescente vede addirittura la storia del suo assassinio). E così li ha paralizzati con un eccesso di luce. Li ha costretti a restare spalancati, senza potersi più perdere nell'ombra. Questo sono per lui il bianco dei ghiacci che circondano Nightmute, la luce che i vetri della camera non riescono a fermare, il sole che si ostina a non tramontare: sono il sintomo di una cecità paradossale, una cecità che potrà guarire solo quando, abbandonata la presunzione d'essere «quello che attribuisce le colpe», accetterà d'esser solo un poliziotto, solo un uomo che riconosce e aspetta vincoli giuridici e limiti morali. E a quel punto ben potrà lasciar cadere le palpebre, così abbandonandosi alla notte.

 

promo

Un noir "a ritroso", un protagonista senza memoria che usa il proprio corpo come blocco notes del proprio intrigo esistenziale. Indizi e tatuaggi, personaggi che tornano sullo schermo e nella memoria in un contorto riflusso di ricordi e situazioni. Un thriller appassionante, un film-cult già fin dalla sua prima apparizione al festival di Venezia.

LUX -  mini-personale di  Christopher NOLAN - aprile 2003