Il matrimonio di Lorna (Le silence de Lorna)
Jean-Pierre e Luc Dardenne - Belgio/Gran Bretagna/Francia/Italia/Germania 2008 - 1h 45'

CANNES - premio miglior sceneggiatura

    A Liegi una ragazza albanese emigrata ha fatto un matrimonio bianco con un drogato, per acquisire la cittadinanza belga: ha pure ottenuto il divorzio, ma le pratiche sono lente, lei ha fretta perché il suo protettore vuole che sposi un russo desideroso di diventare cittadino belga; così è complice nell'uccisione per overdose del drogato. Intorno a lei si muovono quattro uomini: il protettore, un tassiste che organizza la vita di lei per fare soldi; il russo che paga bei soldi; il marito drogato, che le chiede continuamente, come a una madre, aiuto e soldi; l'innamorato albanese di lei che si vede poco, è sempre altrove per guadagnare soldi con lavori pericolosi.
Nel bellissimo film degli straordinari registi fratelli belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne
film successivo in archivio, due volte vincitori della Palma d'oro a Cannes (per Rosetta, per L'Enfant), eventi essenziali della vita (nascita, morte) vengono usati per compiere reati. Il denaro è ovunque: preso, versato, toccato, nascosto, desiderato, rifiutato, scambiato, in banconote simbolicamente sporche, stropicciate, maltrattate. Le leggi stabilite con civile impegno dall'autorità europea per salvaguardare i collettivi diritti umani, si mutano in occasioni delinquenziali. Lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo acquista nuove forma, che ignorano il lavoro. I sogni di un'esistenza, le massime ambizioni, possono consistere nell'aprire un bar. I personaggi diventano i criminali più contemporanei, nell'approfittare del conflitto tra buone volontà e azioni indegne.
Ma, secondo gli autori, i personaggi non sono mai senza speranza etica: la ragazza, dura di carattere e di gesti, approda a un rimorso, una fuga dal male. Lo stile dei Dardenne (macchina da presa a mano, pedinamento degli attori, laconicità) nel
Matrimonio di Lorna cambia, si arricchisce di dialoghi sostanziali, della parola, di immagini relativamente quiete, per raggiungere la forma di realismo anche interiore più alta mai vista prima.

Paolo D'Agostini - La Repubblica

  Poche volte abbiamo visto rappresentare con tanta forza sullo schermo la tragedia dell’immigrazione, il traffico di corpi e identità, la nuova schiavitù che coinvolge tante vittime e tanti carnefici in uno dei peggiori inferni del mondo globalizzato. La giovane albanese protagonista del Matrimonio di Lorna rappresenta una sintesi degli uni e degli altri. Per conquistare la cittadinanza belga, si è legata a un equivoco tassista di Liegi che le ha combinato un matrimonio bianco col tossicomane Claudy; ora si prepara a sposare un mafioso russo: dalle nozze questi otterrà una nuova nazionalità, Lorna i soldi per aprire un bar col suo ragazzo albanese. Da chiave di volta del piano, il fragile Claudy ne diventa l’impedimento da rimuovere. Basta simulare la morte per overdose dell’ingombrante junkie; ma sarà, Lorna, così dura da tacere ciò che ha già capito? In lei va affiorando un senso di pietà per il poveretto, tormentato dai crampi dell’astinenza: quanto basta per offrirgli il proprio corpo come palliativo, forse non abbastanza per proteggerlo dal delinquente con cui si è associata. Due volte vincitori della Palma d’Oro (per Rosetta, per L'Enfant), quest’anno Jean-Pierre e Luc Dardenne hanno incassato “solo” il premio per la sceneggiatura a Cannes. Va subito detto, però, che Il matrimonio di Lorna è un film molto vicino al capolavoro: forse meno compatto e conchiuso dei precedenti, ma perché segna una fase di passaggio nello stile dei due fratelli valloni. Se da una parte, infatti, i cineasti continuano a pedinare gli attori con una serie di semi-soggettive che ti fanno entrare nella loro pelle (la vicenda di Lorna è una Via Crucis che lo spettatore patisce assieme a lei), dall’altra la macchina da presa comincia a staccarsene, a prenderne le distanze tramite inquadrature meno mobili, abitate da più personaggi. Contemporaneamente i Dardenne ricorrono all’ellissi, al “taglio” anche brusco di alcuni avvenimenti, che è compito dello spettatore intuire. Ancora una volta, beninteso, ci raccontano una storia di caduta e redenzione; usano un linguaggio naturalistico degno del migliore neorealismo italiano per mettere in scena conflitti interiori e sensi di colpa, percorsi di crescita spirituale che evocano (in versione più laica) il cinema di Robert Bresson. Al grande regista francese li accomunano molte cose: a partire dalla rappresentazione del denaro, che circola continuamente in questo e negli altri loro film con il suo enorme potere materiale e simbolico. E si può senz’altro aggiungere la maniera ammirevole con cui, in modo analogo al vecchio maestro, sanno utilizzare l’intensità espressiva di interpreti semi- sconosciuti: nel caso l’albanese Arta Dobroshi (invece Claudy è lo struggente Jérémie Renier, l’attore-feticcio del duo): corti capelli neri a caschetto e una fisicità che scende dallo schermo in platea, mentre il suo volto esprime il passaggio da un sentimento a un altro, oppure annaspa tra sentimenti simultanei e contrastanti. Come accade nella vita reale, e nel grande cinema.

Roberto Nepoti - La Repubblica

promo

Lorna, giovane immigrata albanese a Liegi, per ottenere la cittadinanza si mette nelle mani di un malavitoso, in balia di un'organizzazione criminale prevede un omicidio e un nuovo matrimonio. I deboli soccombono, il mondo è riservato a chi non si fa scrupoli... Nel vuoto pneumatico di ogni morale, può ancora farsi strada una parvenza di sentimento, un desiderio d'umanità? Forse è proprio dall'animo sconvolto della piccola, umiliata, disperata Lorna che può rinascere un germe di speranza.

LUX - ottobre 2008

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