Miracolo a Le Havre (Le Havre)
Aki Kaurismäki - Finlandia/Francia/Germania 2011 - 1h 33'

  Lo stile è quello di sempre, la regia e la direzione degli attori anche, così come non cambia la voglia di scegliere i suoi protagonisti tra i reietti e i perdenti. Ma per una volta non sono la disperazione e lo sconforto a vincere bensì il sogno e la speranza, con il cinema che per una volta offre i suoi 'poteri' per cambiare la realtà in meglio, per piegarla ai desideri più belli. Succede così in Le Havre, l'ultimo film di Aki Kaurismäki, ambientato in questa città di moli e container ma anche di vecchi bar, piccole case di periferia e negozietti sfuggiti alla globalizzazione. [...] Miracolo è la parola giusta da usare, per sintetizzare lo straordinario equilibrio tra intenzioni e realizzazioni, tra semplicità della messa in scena e poesia della recitazione e dei dialoghi. Ma se a questo 'miracolo artistico' potevamo essere già preparati con Kaurismäki, quello che stupisce è proprio il ricorso a un miracolo vero e proprio per invertire la marcia della realtà. Il regista non chiude gli occhi di fronte al dolore dei mondo: parla di povertà, di immigrazione clandestina, di repressione, di malattia. Ma poi chiede al cinema di cambiare le carte in tavola, alla ricerca di quell'happy ending che una volta era visto come la prova provata del cinema oppio dei popoli.

Paolo Mereghetti - Il Corriere della Sera

   Dopo il pessimismo e la malinconia di Le luci della sera, il maestro finlandese torna ai toni più leggeri e all'humour geniale con Le Havre, uno dei film più belli in concorso. Riso e commozione sono da sempre colori presenti nella tavolozza di questo magnifico pittore di cinema, ma di rado capita di vederli così ben distribuiti sulla tela dello schermo. [...]Parte dalla semplice constatazione che qualsiasi stato, ordinamento, autorità, legge, necessità politica, arrivi a vietare il ricongiungimento di un bambino con la madre, diventa per ciò stesso spregevole, disumana, criminale. E' una legge che un uomo, se è tale, può soltanto disobbedire. L'aspetto triste è che il film di Kaurismäki sia stato accolto a Cannes come un pura favola sull'immigrazione, la nostalgia di un artista sensibile per una solidarietà che si può vedere soltanto al cinema e non nella vita.

Curzio Maltese - La Repubblica

   Che meraviglia vivere nel mondo di Aki Kaurismäki, nella stradina quieta di una città di mare dove i vicini di casa si aiutano l'uno con l'altro, dove un giovane clandestino africano trova riparo e protezione, dove ci si ammala gravemente e si guarisce perché sarebbe giusto che ad ogni buona azione corrispondesse un premio. [...] Ogni tanto, in mezzo agli orrori e alle ingiustizie, qualcosa che provi a riconciliare con la parte buona dell'umanità, ci deve pur essere. Le Havre è nato da questa disposizione d'animo, dalla scelta di affrontare un tema serio e grave come l'immigrazione, con la doppia lente della favola ironica e della passione cinefila. Da una parte le figure tipiche del mondo dell'autore, con le loro facce più vere del vero, dall'altra i rimandi alle atmosfere dei film di Bresson, Melville, Tati, Carné. Anche i nomi dei personaggi non sono scelti a caso, ognuno ha il suo rimando cinematografico, ognuno ricorda qualcosa e qualcuno.

Fulvia Caprara - La Stampa

   Tra i tanti grandi autori 'abbonati' al Festival di Cannes, uno dei pochi ancora misteriosamente mai premiati con la Palma d'oro è Aki Kaurismäki. Eppure il grande finlandese di Nuvole in viaggio, L'uomo senza passato, Le luci della sera, è uno di quei registi che fanno sempre lo stesso film ma ogni volta ci incanta. Non è ancora un aggettivo perché il nome non si presta. E non sarà mai popolare come merita perché si ostina (per fortuna) a fare l'elogio della povertà attraverso dropout, barboni, operai, lavoratori dai gesti lenti e dalla lingua curata. Filmati con tutto l'amore, la fantasia e l'umorismo a miccia lenta con cui riprende i muri scrostati, le insegne scolorite, i bar di quartiere dove la gente ancora si parla e magari si dà una mano. Perché da nemico della modernità (dei suoi costi, della sua estetica) Kaurismäki sa che la solidarietà è sorella della penuria; e che solo dove manca quasi tutto si trova ancora l'essenziale. [...] Altro che ottimismo della volontà. Qui siamo al potere taumaturgico della bontà, che sconfina nella fede - fede nel cinema - ed esige spettatori devoti. Anche se Kaurismäki 'predica' attraverso oggetti desueti quanto carichi di sentimento come vecchi juke box, lunghe chiacchierate, bicchierini di calvados; e gesti invisibili che spostano le montagne. Gli scettici alzeranno le spalle, ma è un problema loro.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

promo

Aki Kaurismaki - il cantore degli emarginati, dei vagabondi e dei bohémiens - si trasferisce (di nuovo) in Francia e il suo sguardo si conferma nitido e fatalista: Marcel Marx è un umile lustrascarpe della città-porto di Le Havre e vive quotidianamente i rituali della sua precaria esistenza assieme alla moglie Arletty e alla cagnolina Laika. Nel momento in cui Marcel scopre la grave malattia che Arletty gli sta nascondendo la sua vita subisce un colpo durissimo e l'incontro con un ragazzino africano, arrivato clandestinamente in un container e inseguito dalla polizia per essere espulso, sarà l'occasione per prodigarsi in un personale miracolo di solidarietà collettiva.
Tra i principali favoriti alla Palma d'Oro di Cannes 2011, il ritorno del regista finlandese nutre il cinema di speranza. L'umana affezione dei suoi protagonisti e i loro moti emotivi stilizzati ma indelebili, sono pervasi in Le Havre da un freddo e a tratti surreale ottimismo e, come di consueto, da un ostentato, personalissimo, ma solo apparente minimalismo d'antan, di cui miracolosamente si riscopre - ogni volta - la viscerale esigenza immaginifica.

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