Il petroliere (There Will Be Blood)
Paul Thomas Anderson - USA 2007 - 2h 38'

Non è un paese per vecchi (No Country for Old Men)
Joel e Ethan Coen - USA 2007 - 2h 2'

migliori attore protagonista (DANIEL DAY-LEWIS)
miglior fotografia (ROBERT ELSWIT)
miglior FILM
miglior regia (JOEL e ETHAN COEN)
migliori attore non protagonista (JAVIER BARDEM)
miglior sceneggiatura non originale (J. e E. COEN)


   8 le candidature, sia di Non è un paese per vecchi, sia di Il petroliere. 4 gli oscar assegnati al primo, 2 quelli al secondo. Un responso in fondo equo, che mette in evidenza il plusvalore dei film dei Coen (Barton Fink, Fargo, Fratello dove sei?) e l’innegabile qualità autoriale dell’opera di Paul Thomas Anderson film successivo in archivio (Magnolia). La sua monumentale trasfigurazione delle contraddizioni insite nell’ansia del capitalismo e nella fanatismo religioso si materializza nello scontro tra due ambizioni smisurate: quella del cercatore di petrolio Daniel Plainview (Daniel Day-Lewis, grandioso, un oscar, meritatissimo come miglior attore protagonista) e quella dell’ispirato, mistificante predicatore Eli Sunday (Paul Dano) che in un paese avido di ricchezza e facile preda delle superstizioni (siamo nei primi del ‘900) gli fa da ostacolo con fastidiose, petulanti intrusioni.
Ne
Il petroliere l’azione ha il ritmo lento e incombente del pulsare delle macchine che sondano e scavano il terreno, la regia osa la citazione dei classici hollywoodiani (Griffith, Huston, Welles, Stroheim…) e si affida ad una calibrazione delle immagini che rievoca la fotografia del tempo (colori spesso denaturati con il nero del petrolio e il calore del fuoco a dar forza cromatica – oscar per la miglior fotografia), l’accompagnamento sonoro vibra della creatività di Johnny Greenwood (Radiohead) e della sontuosità di Brahms. In tanta magnificenza Paul Thomas Anderson non riesce sempre a governare l’equilibrio della sua potenza espressiva, ma il parossismo del protagonista resta memorabile per come trasuda un disagio profondo, un’insoddisfazione inappagabile, un egoismo crudele, che non risparmierà il figlio adottivo, e una ferocia incontenibile di cui farà le spese l’incauto predicatore. Prendete nota, il titolo originale avverte There Will Be Blood, là scorrerà il sangue.

Di contro la forza del cinema di Joel e Ethan Coen sta da sempre in una peculiarità stilistica e narrativa capace di far crescere l’intrigo scompaginando ogni aspettativa. Per Non è un paese per vecchi si sono affidati per la prima volta ad un soggetto preesistente (oscar per la miglior sceneggiatura non originale) andando ad attingere ad un autore cruento e carismatico come Cormac McCarthy. Il gioco delle trasposizione letteraria mette spesso in moto critiche e insoddisfazioni (stavolta per l’eccessiva compressione del respiro diaristico-filosofico alla base del romanzo), ma bisogna affrontare la visione con totale abbandono cinefilo per apprezzare appieno l’impeto di uno strabiliante racconto per immagini (oscar per il miglior film), sarcastico e cinico al limite del gore, drammaturgicamente spiazzante nella configurazione di ambienti e personaggi (oscar per la miglior regia), amaro e intriso di nostalgia nella presa di coscienza dell’irreversibile spora di disumanità e violenza che mina l’humus della vecchia frontiera.

Siamo ai confini col Messico e il paesaggio, su cui la macchina da presa si sofferma con introspettiva ostinazione, è in fondo il protagonista principe di una riflessione antropologica che trova voce nelle parole d’apertura della sceriffo Bell, ma che subito si annichilisce nell’esplosione di brutalità con cui l’angelo del male Chigurh (Javier Bardem: assurdo caschetto da paggio, micidiale arma ad aria compressa e… immancabile oscar come attore non protagonista) cadenza lo svolgersi dell’azione. Non bisogna lasciarsi ingannare dal coinvolgimento avventuroso che mette in campo il solitario Llewelyn Moss (Josh Brolin), il quale durante una battuta di caccia si imbatte in una agghiacciante carneficina (epilogo di uno scontro tra bande di spacciatori) e in una valigetta abbandonata, zeppa di dollari. Il suo ruolo di non-eroe è il primo di quegli snodi diegetici che l’estro dei Coen si divertirà a scardinare: il meccanismo della fuga, dell’inseguimento, gli stratagemmi per salvare il gruzzolo e la propria vita, l’alternanza “possibilistica” dei conflitti a fuoco, la messa in campo dei valori familiari sono solo tappe di prammatica in un percorso narrativo eccentrico ed enigmatico, in un road-movie laconico ed efferato, segnato dalla rischiosità di ogni gesto caritatevole (quell’acqua portata nella notte al moribondo) e dall’incombenza del fato (un testa o croce che può falciarti la vita).

I sogni e le riflessioni dello sceriffo (Tommy Lee Jones, un’icona interpretativa se pensiamo a Nella valle di Elah) hanno la flebile voce di un disagio esistenziale (“quando non si dice più grazie e per favore, vuol dire che la fine è vicina”) di cui un film come questo non può che essere sanguigna, veemente metafora. Non è un paese per vecchi quello descritto dai Coen: è un azzardo, in un mondo così crudele, pensare di riuscire a raggiungere un’età per considerarsi tali; non c’è davvero più spazio per una qualche continuità con un’etica antica.

ezio leoni - La Difesa del Popolo  9 marzo 2008


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Una monumentale trasfigurazione delle contraddizioni insite nell’ansia del capitalismo e nella fanatismo religioso che si materializza nello scontro tra due ambizioni smisurate: quella del cercatore di petrolio Daniel Plainview e quella dell’ispirato, mistificante predicatore Eli Sunday. Il parossismo del protagonista resta memorabile per come trasuda un disagio profondo, un’insoddisfazione inappagabile, un egoismo crudele, che non risparmierà il figlio adottivo, e una ferocia incontenibile di cui farà le spese l’incauto predicatore. Il titolo originale avverte There Will be Blood, là scorrerà il sangue.


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