Eric Rohmer: una retrospettiva molto morale

Il segno del leone (Le signe du lion)
Eric Rohmer - Francia 1959 (b/n) - 1h 39’

  Jess Hahn, compositore americano che vive e Parigi, apprende di avere ereditato una fortuna: ma poi la notizia viene smentita. Solo e senza soldi nella Parigi deserta d’agosto, si riduce a fare il barbone, finché i suoi amici lo ritrovano e gli comunicano una nuova sorpresa della sorte… Il primo lungometraggio di Rohmer, prodotto da Claude Chabrol, è una riflessione sul caso, in anticipo su molte sue opere future (da La fornaia di Monceau a Racconto d’inverno), ma più dalle parti della tragedia greca che del giansenismo cui abitualmente si associa questo regista: in questo film l’uomo è un burattino nelle mani del destino, che sia propizio o avverso e nell’improvvisa fortuna non vi è alcuna redenzione, ma un’oscura minaccia. L’itinerario di degradazione del protagonista è descritto con un realismo minuto di grande efficacia. Ma il film si ricorda anche come una delle rare dichiarazioni d’odio che siano mai state fatte a Parigi: assolata, sporca, ostile con i suoi marmi e melliflua con le sue acque. Jean-Luc Godard è l’uomo che suona il giradischi.

Dizionario dei film – a cura di Paolo Mereghetti

Présentation ou Charlotte et son steak
Eric Rohmer - Francia 1951 (b/n) - 9’

Véronique et son cancre
Eric Rohmer - Francia 1959 (b/n) - 20'

  In un freddo giorno d'inverno, in Svizzera, mentre la neve scende copiosa, un giovane molto timido, Walter, si trova insieme a due ragazze: Clara e Charlotte. Quando Charlotte lo invita ad accompagnarla nel suo chalet, Walter accetta senza pensarci su. L'interno della piccola abitazione della ragazza è, però, così freddo e angusto, da costringere l'imbarazzato Walter a rimanere in piedi sullo zerbino con le spalle appoggiate al muro assistendo ai preparativi di uno spuntino. Ripetendo di avere una gran fretta, Charlotte si cucina una bistecca e la mangia voracemente mentre Walter fa dei goffi tentativi di seduzione chiedendole di avvicinarsi allo zerbino perché le vuole bene e vorrebbe baciarla. Nonostante la ragazza ostenti indifferenza, Walter riuscirà a farle superare la soglia e a darle il tanto agognato bacio.

  Véronique è una giovane e bionda insegnante che fa delle lezioni private a Jean-Christophe, un ragazzino che non ha per nulla voglia di imparare. Lo studente è completamente disarmante anche perché non sa assolutamente cosa sia la logica matematica e ascolta svogliatamente le spiegazioni di una professoressa che dal canto suo, non ha metodo pedagogico e non ha interesse a catturare l'attenzione dell'allievo. Infine, mentre Jean-Christophe fa smorfie e boccacce e butta in terra i libri, Véronique, sotto al tavolo, si sfila, non vista, le scarpe.


 

6 racconti morali

 
[…] Per «racconto morale» non intendo un racconto con una morale, ma una storia che descrive non tanto quello che i personaggi fanno, quanto piuttosto quello che avviene nel loro spirito quando lo fanno. Un cinema che delinea gli stati d’animo, i pensieri, assieme alle azioni. I miei racconti morali non fanno vedere dei personaggi che espongono idee astratte (...) ma che esprimono quello che pensano dei rapporti tra un uomo e una donna, dell’amicizia, dell’amore, del desiderio, del modo di concepire la vita, della felicità, della noia, del lavoro, del divertimento, ecc. Tutte cose che sono senz’altro già state dette al cinema, ma sempre in maniera indiretta, all’interno di una trama drammatica, comica o tragica. Nei racconti morali non c’è né tragicità né comicità assoluta. Se volete, sono più vicino a una certa forma di romanzo classico - di i cui il cinema rappresenta la continuazione - che ad altre formo di spettacolo, come il teatro. E questo per me è importante. Credo di aver contribuito ad allontanare ulteriormente il cinema dal teatro.
(1971)
Perché filmare una storia quando la si può scrivere? Perché scriverla quando la si filmerà? Questa duplice questione è solo apparentemente gratuita. E si è posta precisamente a me. L’idea di questi Racconti mi è venuta ad un’età in cui non sapevo ancora che sarei diventato cineasta. Se ne ho fatto dei film, è perché non sono riuscito a scriverli. E se, in un certo senso, è vero che li ho scritti - nella forma stessa in cui vanno letti - è unicamente per poterli filmare. (1974)

[…] La «moralità» di Rohmer, e dei suoi racconti; non è - tanto o solo - quella esplicita, quanto quella mediata che viene fuori dai modi di narrare: dai fatti, dal loro collegamento emerge un principio «astratto» (le trame del caso, il costituirsi un destino...), una morale appunto. L’aspirazione saggistica si fa più chiara se si considera la tendenza dei film rohmeriani, alcuni in particolare, a porsi come «conte philosophique», che magari prende da fuori, che accetta la verbalità, che - meglio - si pone come avventura dialogica. Moralità non vuol dire però partito preso; l’atteggiamento dell’autore è invece fecondamente ambiguo. C’è distacco, talora ironia, ma c’è anche partecipazione: il sottile senso della perdita che permane sotto tutti i suoi film insinua l’incrinatura nell’equilibrio esterno.
Tutto, comunque, porta al racconto. Qui si apprezza il tono dei film, l’apparente esilità che si fa lievitazione, le notazioni sfumate che accumulandosi diventano spessore. Nel racconto si coglie quella vocazione del cineasta al “mestiere”, il suo restare un «artisan bonhomme» come non se ne vedono più. Costruzione e invenzione stanno assieme, l’autore predilige aggiornare impianti datati, il movimento del film è spesso (si pensi a La mia notte con Maud) costituito dal seguire le linee di incontro o di divergenza - prima narrative che psicologiche — dei personaggi schema. Rohmer sembra preferire un lavoro su materiale ristretto, su fatti e intrecci ridotti. Questa «economicità» gli permette di crea re sovrapposizioni, accumulazioni, di cogliere insomma le risonanze. Lo schema di partenza spinge a variazioni sul tema, i «racconti morali» sono tutti basati sullo stesso semplice meccanismo di incontri; la ripetizione lascia spazio alla modificazione, al rinnovamento. Le dilatazioni stilistiche, gli allentamenti, i pedinamenti non sono compiacimenti formali, denotano piuttosto lo sforzo di scandire, di analizzare i vari «momenti» del racconto, di penetrare il tema centrale, il percorso del desiderio.

Eric Rohmer (Jean-Marie Maurice Schérer)
TULLE (Nancy) 04-04-1920 - PARIGI 11-01-2010

Giorgio Tinazzi – Quaderni Circuito Cinema



La fornaia di Monceau (La boulangère de Monceau)
Eric Rohmer - Francia 1962 (b/n) - 22’

6 racconti morali, n° 1

  A Parigi, nel quartiere di Parc Monceau, il narratore, studente in legge (Barbet Schroeder, la voce è quella di Bertrand Tavernier film precedente in archivio), incrocia spesso per la strada Sylvie e vorrebbe conoscerla. Ma non brilla d’iniziativa… Una sera però riesce a scambiare con lei anche qualche parola e a strapparle una seppur vaga promessa. Dopo quell’incontro però Sylvie sembra scomparsa. Il narratore si ostina a ripercorrere le stesse strade del quartiere tutti i giorni, nell’ora in cui ritiene più probabile un incontro, ma senza risultato Finisce per fermarsi spesso in un forno-pasticceria dove una giovane commessa gli manifesta un altro interesse… Il punto di vista del narratore non è quello del film, anzi l’immagine è proprio là per smentire le sue parole, senza tuttavia contraddirle sistematicamente. Prendiamo un esempio. Quando il narratore ci dice che la fornaia è carina o che lei gli manifesta un certo interesse, nulla ci obbliga a credergli del tutto. Conserviamo la nostra libertà, cosa che non avverrebbe se semplicemente leggessimo la vicenda. Inoltre il narratore attribuisce alla ricerca di Sylvie, la prima donna, un carattere quasi scientifico, che crolla immediatamente appena lo si analizza. Alla sua «passione» egli infatti non dedica più di mezz’ora al giorno e in un perimetro molto ristretto (..) Fin dall’inizio dunque il suo atteggiamento rivela ben altro che la volontà assoluta di cui il protagonista si compiace (...) e questa malafede è un tratto costitutivo degli eroi dei racconti morali.

J. Magny – Cinéma


La carriera di Suzanne (La carrière de Suzanne)
Eric Rohmer - Francia 1963 - 53’

6 racconti morali, n° 2

  Il narratore, Bertrand, è studente a Parigi ed abita nel Quartiere Latino. Di natura timida e riservata, segue con dipendente ammirazione le prodezze dongiovannesche dell’amico Guillaume. Un giorno in un caffè, i due giovani conoscono Suzanne, una studentessa che si mantiene agli studi lavorando. Guillaume convince Bernard ad aiutarlo a creare l’occasione per sedurre Suzanne. Subito dopo però si stanca della ragazza e allora a Bernard chiede di aiutarlo a liberarsene. Il trovarsi sempre coinvolto nelle manovre amorose dell’amico, delle quali per altro non sa all’occasione approfittare, fa intanto perdere a Bernard diverse opportunità di conoscere di più Sophie, una giovane irlandese da cui si sente attratto e che è però assiduamente corteggiata da Frank, il ragazzo più brillante del gruppo. Dopo una strana vicenda legata a del denaro che gli è stato rubato Bemard, che nel frattempo, per la sua goffaggine, ha definitivamente perduto Sophie, assiste anche all’idillio tra Suzanne e Frank, che lei sta per sposare.
La disgregazione del tema abituale (dei Contes) e l’assenza di dimensione etica o filosofica apparentano La Carrière de Suzanne alle cronache filmate della fine degli anni ‘50 e dell’inizio degli anni ‘60. Questo studio di costumi di una cena gioventù offre d’altro canto un aspetto nouvelle vague del tutto inusuale in Rohmer. Ci si respira l’atmosfera dei surprises-parties e di dongiovannismo giovanile dei Tricheurs o dei Cousins, il profumo leggermente desueto di un’epoca di transizione fra il rigorismo anteriore e il lassismo futuro, un’epoca in cui si porta ancora la cravatta sotto uno svelto pullover e in cui i rapporti più liberi tra ragazzi e ragazze sono sempre regolati da un insieme di convenzioni il cui carattere fittizio comincia appena a trasparire. Alcuni anni più tardi la costrizione di questi tabù e regole implicite scoppierà e le Suzannes diventeranno Collezioniste.

M. Vidal - Six contes moraux


Nadja à Paris
Eric Rohmer - Francia 1964 - 13’

  Mentre percorre i viali della Cité Universitarie di Parigi, la giovane studentessa Nadja Tesich ne approfitta per confessarsi davanti alla macchina da presa e parlare della sua vita, dei luoghi che frequenta. Così mentre scorrono sullo schermo le immagini della capitale francese, che si raccontano da sole, le parole di Nadja ci forniscono anche una visione soggettiva rendendo ogni luogo protagonista di una doppia storia.


La collezionista (La collectionneuse)
Eric Rohmer - Francia 1966 (b/n) - 1h 23'

6 racconti morali, n° 4


  Una graziosa ninfetta di Saint-Tropez (Haydèe Politoff), che per principio passa ogni notte con un uomo diverso, incontra Adrien, un giovane dandy deciso a resisterle. Finiscono in casa di un collezionista di oggetti d’arte e hanno altre esperienze in comune, ma il loro modo d’interpretarle è opposto. E Adrien se ne va. Intellettualismo contro istintualità nel terzo dei «racconti morali» di Rohmer, i cui dialoghi rischiano oggi di apparire molto datati, così come un certo anticonformismo di moda. Ancora molto affascinante, invece, l’occhio da entomologo di Rohmer, che registra — con una naturalità e una semplicità cristallina — la vita quotidiana dei suoi personaggi: gli ambienti sono scelti nel presente, ma la filosofia smaliziata e il tono del racconto appartengono alla letteratura del XVIII secolo.

Dizionario dei film – a cura di Paolo Mereghetti


Une étudiante d'aujourd'hui
Eric Rohmer - Francia 1966 (b/n) - 12’

  La macchina da presa di Rohmer entra nella facoltà di architettura della Sorbona e si sofferma sul numero crescente di studentesse iscritte ai corsi di laurea.


La mia notte con Maud (Ma nuit chez Maud)
Eric Rohmer - Francia 1969 (b/n) - 1h 46'

6 racconti morali, n° 3


  Clemont-Ferrand, inverno: il trentenne Michel (Jean-Louis Trintignant), cattolico praticante, a messa nota Françoise (Marie-Christine Barrault) e decide che sarà la sua sposa. A casa di Maud (Françoise Fabian), giovane divorziata, Michel parla del caso, della morale e del matrimonio, e non tradisce Françoise. Ormai sposato Michel rincontrerà Maud dopo molti anni, e si vedrà crollare addosso tutte le sue certezze.
Il terzo (anche se girato come quarto) e uno dei più belli dei racconti morali di Rohmer. Il narratore Michel esordisce dicendo che «non dirà tutto della storia», scommette pascalianamente col caso, si districa tra menzogna e verità (farà credere a Françoise di essere stato l’amante di Maud), ma alla fine rimane sconfitto. Su un intreccio di apparenti simmetrie che ha la perfezione di un labirinto, si dipanano lunghi dialoghi in cui i personaggi mettono alla prova le convinzioni loro e degli spetta tori. Rohmer fa cinema con la parola senza adagiarsi nella teatralità, e il gioco intellettuale cela seduzioni e tensioni che il cinema riesce di rado a rappresentare con tanto acume e tanta forza.

Dizionario dei film – a cura di Paolo Mereghetti


 

Il ginocchio di Claire (Le genou de Claire)
Eric Rohmer - Francia 1970 - 1h 41'

6 racconti morali, n° 5


  In procinto di sposarsi Jérộme (Jean-Claude Brialy) si mette a corteggiare per scommessa prima la giovanissima Laure (Béatrice Romand), quindi la sorellastra di quest’ultima Claire (Laurence de Monaghan), con lo scopo di poter accarezzarle il ginocchio, così come a visto fare al fidanzato di lei.
Il quinto dei racconti morali di Rohmer è una sorta di parafrasi stilizzata delle Relazioni pericolose di Laclos: un gioco di seduzioni architettate a freddo da Jérộme e dalla sua amica scrittrice Aurora (Aurora Cornu), e un intreccio di voci (i dialoghi e il diario della scrittrice) Più freddo di altri film di Rohmer (finisce con l’essere infatti sia una riflessione su come si costruisce una storia che una psicologia della seduzione), ma costruito con un’intelligenza, cinematografica e non solo, sopraffina. Il direttore della fotografia Nestor Almendros trova nel lago di Annecy un set ideale.

Dizionario dei film – a cura di Paolo Mereghetti



L'amore il pomeriggio (L’amour l’après-midi)
Eric Rohmer - Francia 1972  - 1h 14’

6 racconti morali, n° 6


  In attesa del secondo figlio, Frédéric (Bernard Verley), felicemente sposato, gioca a fare il dongiovanni e subisce il fascino dell’amica Chloé (Zouzou), che non è mai entrata nei ranghi della vita borghese. Ma quando le fantasie rischiano di diventare realtà, scappa dalla moglie.
Narrato dalla voce fuori campo del protagonista, l’ultimo dei racconti morali di Rohmer è forse quello dove è più evidente l’ironia del regista ai danni del personaggio, intellettuale piccoloborghese che sogna evasioni impossibili. Dietro gli intrecci e i giochi del caso si sente, più chiaramente che in altre occasioni, il divertimento del demiurgo: ma c’è anche il rischio del manierismo. Nella sequenza del sogno compaiono le protagoniste dei precedenti Racconti morali: Françoise Fabian, Aurora Cornu, Marie-Christine Barrault, Laurence de Monaghan, Béatrice Romand.

Dizionario dei film – a cura di Paolo Mereghetti



La Marchesa von... (La Marquise d’o...)
Eric Rohmer -
Francia/Rft 1976  - 1h 14’

Premio della Giuria al festival di Cannes

  XVIII secolo, Italia settentrionale: durante un assedio la figlia del governatore (Edith Clever) è assalita da un gruppo di soldati nemici, ma un conte (Bruno Ganz) interviene a salvarla. Dopo qualche mese la donna scopre di essere incinta, senza sapere come possa essere successo. Ripudiata dai genitori, mette un annuncio sui giornale per scoprire l’identità del padre del bambino. «Non mi saresti sembrato un diavolo se, alla tua prima apparizione, non ti avessi preso per un angelo» dirà al responsabile. Un adattamento quasi letterale ma creativo del racconto di Heinrich von Kleist, ambientato in un castello vicino a Norimberga e girato in tedesco (antico) con attori di provenienza teatrale. Rohmer ha detto di voler «illustrare il mondo di una volta con la stessa attenzione al dettaglio che c’è nei Racconti morali». Il vero tema è però quello della passione compressa dalle regole sociali e dai décor asetticamente neoclassici, del linguaggio del corpo che traspare sotto quello delle parole: tanto che alcuni critici hanno definito questo film, castissimo, come uno dei più erotici della storia del cinema. Intelligenti le citazioni pittoriche (fotografia di Nestor Almendros) a cominciare da quella dell’Incubo di Füssli — senza il demone — che allude allo stupro della protagonista.

Dizionario dei film – a cura di Paolo Mereghetti

  [...] Un film, in cui tutti piangono, svengono, si amano, si odiano, esaltano ideali, sono travolti da passioni violente o permeati da delicati sentimenti. L'opera di Kleist, in questo film, è come un dramma raccontato di nuovo, un'opera teatrale trasposta in film, con entrate ed uscite perfettamente calcolate, messaggi, grandi scene d'insieme e lettere che fanno scattare la dinamica dell'azione. Tutto questo condito con un complicato linguaggio stilizzato che si rivolge spesso, con patetica commozione, attraverso parole galanti e misurate. Un film spettacolare in cui Rohmer, chiaramente innamorato dello stile Impero, cura ogni sequenza in modo tale da farla apparire come un dipinto dei primi del XIX secolo, facendo muovere i suoi personaggi in una cornice rigorosamente neoclassica. Si può parlare anche di commedia perché il regista non tralascia mai un'occasione per fare dell'umorismo, per insinuare dell'ironia, riuscendo insieme con il pathos, a sviluppare la comicità e il sentimento, affrontando con coraggio sia le facezie melodrammatiche sia quelle tragiche, liete e sentimentali. Rohmer e Kleist: coincidono perfettamente, sono un unico uomo. I personaggi di Kleist vivono nell'eterno conflitto psicologico (Rohmer lo definirebbe moralistico) tra essere e consapevolezza, tra sentimento e intelletto, tra io assoluto e le reali esigenza ambientali. I problemi e le incertezze della marchesa e del conte non si discostano da quelli delle "storie morali": lei lo ama e lo odia, lo chiama angelo e demonio contemporaneamente; lui, il nobile salvatore, è allo stesso tempo un uomo impulsivo che non conosce ostacoli, che le offre il proprio nome e che l'ama appassionatamente. Edith Clever e Bruno Ganz, due attori della Schaubühne am Hallescen Ufer di Berlino, sono due figure ideali uscite dalla mente di Kleist: sognatori, eternamente tra le nuvole, ingenui, spinti e travolti dal vortice della consapevolezza, della riflessione, delle loro lacerazioni, che alla fine, però, riconquistano dignità e soavità perché sono "puri di cuore". Il grosso rischio che il film nascondeva è superato proprio grazie alla loro intensità, alla loro fede interiore.

Wolf Donner - Il Tempo

cinema invisibile TORRESINO aprile-giugno 2010