Romanzo criminale
Michele Placido - Italia 2005 - 2h 33'

da La Repubblica (Paolo D'agostini)

    Questa storia l'hanno raccontata Giovanni Bianconi nel libro "Ragazzi di malavita", poi il giudice Giancarlo De Cataldo con il bestseller "Romanzo criminale" e Carlo Lucarelli nelle sue appassionate ricostruzioni televisive. Il film, che nasce dal romanzo di De Cataldo, anche collaboratore alla scrittura accanto alle star Rulli e Petraglia, doveva inizialmente essere "la peggio gioventù" di Marco Tullio Giordana, il controcanto nero agli stessi anni da loro tre narrati in La meglio gioventù. Poi è arrivato Michele Placido, prodotto da Cattleya e Warner per una scommessa importante e ambiziosa nell'economia del cinema italiano. Placido ha messo da parte un po' della sua autorialità (quella dei due precedenti, discussi, film) ma ha dato prova di grande senso della regia. Accompagnato da riferimenti che comprendono Pasolini ("Ragazzi di vita") e Sergio Leone nella concezione di uno spettacolo imponente, ma forse anche Petri di Indagine o lo Scorsese narratore di malavita (Quei bravi ragazzi), Placido si è avvalso al massimo dell'orchestra dei collaboratori: la luce di Luca Bigazzi, il montaggio serrato e incalzante di Esmeralda Calabria, scenografia, costumi, musica. Di forte impatto emotivo l'Equipe 84 che canta "Io ho in mente te" sui titoli di testa. Arbitrio poetico, giacché le gesta della banda della Magliana (cui è dedicato anche un severo ed efficace film inchiesta di Daniele Costantini) iniziano nel '77 con il rapimento del duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere (nella finzione barone Rosellini), come lo è l'antefatto che ci mostra i futuri Libanese, Dandi e Freddo ancora ragazzini negli anni 60. Ma l'asso nella manica è il cast, la cui adeguatezza alla coralità della storia è già da sola la prova di una sfida vinta. Placido ha riunito le migliori risorse di una generazione (si sente solo la mancanza di Valerio Mastandrea). E il discorso non vale solo per le figure di primo piano, ma per tutti: dal "Sorcio" di Elio Germano al faccendiere di Gianmarco Tognazzi, dal" Bufalo" di Francesco Venditti al "Terribile" di Popolizio, dal Buffoni di Fassari al "Nero" di Riccardo Scamarcio. Dubbi? Lasciamo perdere quelli "etici" - dei farabutti che diventano eroi - perché così cestineremmo metà storia del cinema. Solo quello che, dovendo selezionare un materiale sterminato, il "prendersi la città" da parte di questo pugno di delinquenti di quartiere, qui, sacrifica all'epopea delle loro gesta parte dell'oscura rete di complicità - mafiose, massoniche, politiche, finanziarie, spionistiche - che ha percorso la storia degli ultimi decenni italiani.

da Il Corriere della Sera (Tullio Kezich)

    «Il delitto è una forma sinistra della lotta per la vita» filosofeggiava Louis Calhern, l'avvocato dei gangsters nel classico Giungla d'asfalto di John Huston. A ripensarci, questo non è solo un granello di saggezza, ma la chiave per capire tutto il cinema americano sulla malavita, da Hawks a Coppola e a Scorsese. Ovvero la capacità di far sentire allo spettatore che quei delinquenti non sono degli alieni, ma dei nostri simili le cui scelte aberranti nascono sul terreno di un'umanità comune. Piccolo Cesare, Scarface, il Padrino o i «bravi ragazzi» sono come noi, solo hanno preso una strada sbagliata. Ed è per questo che pur inorriditi dalle loro gesta non li abbiamo mai odiati. Mentre di fronte ai caporioni della banda della Magliana nel film Romanzo criminale, nelle vivide incarnazioni di Kim Rossi Stuart, Pierfrancesco Favino, Claudio Santamaria e compagni, non si può che detestarli da principio alla fine. Arroganti, sbruffoni, violenti, machisti, drogati, incapaci di lealtà nei confronti l'uno dell'altro; e pronti a prestarsi per denaro ai più bassi servizi pretesi dalla politica e dallo spionaggio. In tale senso bisogna riconoscere che il film di Michele Placido è più vicino alla realtà di quanto lo siano in genere gli americani, tanto più che l'uomo della legge (Stefano Accorsi), rientrando in pieno nella visione pessimista di Placido, non sembra fatto di una pasta migliore rispetto a quella dei banditi ai quali dà la caccia.
   [...]A differenza dei libri, Romanzo criminale non è sociologico né dietrologico. È un colpo d'occhio inquietante e atroce che affonda nel buio della coraggiosa fotografia di Luca Bigazzi, proponendosi come un affresco della Roma anni '80. Un periodo nero, che vede l'innesto della criminalità comune su quella politica e viceversa fino a far cadere le barriere tra l'una e l'altra. Troppo lungo (due ore e mezza), ridondante nei particolari e (come notavamo per contrasto con il cinema americano) asceticamente sgradevole, è un film che magari non fornisce informazioni inedite sulla banda della Magliana, ma ti lascia inquieto e spaventato come dopo una discesa all'inferno.

cinélite TORRESINO all'aperto: giugno-agosto 2006