Uno specialista - Ritratto di un criminale moderno (Un Specialiste)
Eyal Silvan – Francia/Germania/Belgio/Israele/Austria 19992h 8’
[versione originale sottotitolata]

Premio Speciale della Giuria – France Cinéma 1999

da La Repubblica (Roberto Nepoti)

Abbiamo sorriso e pianto con La vita è bella, trepidato per Jakob il bugiardo, sofferto le testimonianze dei sopravvissuti negli Ultimi giorni, il documentario prodotto da Spielberg. Ma, attenzione: il film più sconvolgente sulla Shoah arriva ora e s'intitola Uno specialista. Non ricorre alla drammaturgia, non mostra lo sterminio; è il resoconto di un processo dove la parola, anziché alle risorse della retorica, si affida allo stretto gergo processuale: eppure è molto più agghiacciante di qualsiasi horror. Perché è la realtà, ma soprattutto perché mette in scena l'assoluta banalità, la "normalità" del male.
Lo diceva il titolo del libro di Hannah Arendt, Eichmann a Gerusalemme, rapporto sulla banalità del male; lo dice bene anche il sottotitolo del film, Ritratto di un criminale moderno: Uno specialista (l'edizione italiana è curata da Carlo Di Carlo) spiega con un'evidenza senza confronti, la pianificazione del genocidio, la logica con cui il "materiale biologico" veniva evacuato, trasferito alle varie destinazioni e massacrato con perfetta efficacia (quella che indusse i sociologi francofortesi a paragonare il campo di sterminio alla moderna fabbrica). Le immagini esistevano già tutte: 350 ore di riprese-video del processo, svoltosi a Gerusalemme nel 1961, contro il criminale nazista Adolf Eichmann. Tenente colonnello, capo del Dipartimento IV-B-4 della Sicurezza Interna del III Reich, Eichmann organizzò in modo scientifico la deportazione di ebrei, gitani, polacchi e sloveni di tutta Europa verso i campi in cui sarebbero stati uccisi. Assumendo la propria difesa l'imputato, su cui pendevano quindici capi d'accusa per crimini contro l'umanità, contro il popolo ebreo e di guerra, scelse la linea di negare ogni responsabilità personale, asserendo di avere obbedito a ordini superiori pur non approvandoli; al contrario, non nascose mai l'orgoglio per avere svolto il proprio "lavoro" con devozione, zelo e metodica efficienza, assolvendolo per ciò stesso da ogni considerazione etica o semplicemente umana.
Nelle due ore e otto minuti del film, le telecamere nascoste si soffermano sul volto di Eichmann mentre racconta come applicava al genocidio le procedure di routine, utilizzando termini burocratici quali "evacuare", "trasferimento", "pratica". Nel selezionare il materiale girato all'epoca da Leo Hurwitz, il regista Eyal Sivan rinuncia a quasi tutte le testimonianze dei sopravvissuti della Shoah per concentrarsi sul terreno giuridico delle responsabilità di Eichmann, secondo la linea sostenuta coerentemente per tutto il processo dal presidente della Corte, Moshé Landu. Anche se Sivan si ritiene un ebreo dissidente, la scelta di dare la parola all'accusato risulta più convincente di qualsiasi arringa. Il suo documentario è l'opposto di quelli celebri di Leni Riefenstahl, con l'immagine dell'ufficiale delle SS avvolto in paramenti militari da guerra. Qui l'immagine, ben più spaventosa, è quella di un grigio, efficiente burocrate calvo e con gli occhiali, un impiegato modello specializzato nello sterminio scientifico di esseri umani.

TORRESINO - cinema invisibile - la follia di pochi, la tragedia di molti gennaio/aprile 2000