Taxi Teheran (Taksojuht)
Jafar Panahi - Iran 2015 - 1h 22'

BERLINO 65 - Orso d'oro

    Quello di Berlino, si sa, è tra i grandi festival cinematografici internazionali il più anticonformista, indipendente, politically correct, libero da legami con le major statunitensi e dall’eccessivo ossequio alla produzione internazionale. Ne fanno fede sessant’anni di decisioni coraggiose, basti pensare, per limitarci a tempi recenti, agli Orsi d’Oro a film “difficili” come Cesare deve morire dei fratelli Taviani o a Il caso Kerenes della nouvelle vague rumena.
E’ inoltre un festival decisamente politico, di sinistra, per non dire terzomondista. Dichiara con orgoglio il direttore Kosslick “non ci preoccupiamo solo di quello che succede sul tappeto rosso, ma anche di quello che succede nel mondo”.
Ben venga dunque, con tutta la nostra approvazione ed affetto, l’Orso d’Oro a Jafar Panahi e al suo piccolo capolavoro
Taxi.
Impedito di lavorare per i prossimi venti anni (!), prigioniero in casa, o comunque sotto stretta sorveglianza, il regista iraniano riesce a far pervenire a Berlino un tenero esercizio di arguzia e sensibilità; una lettera d’amore al cinema secondo la definizione del direttore della giuria Darren Aronofsky
film precedente in archivio.
Travestito da tassista, occhiali scuri e berretto a visiera, ci porta in giro per la sua Teheran alla scoperta dei personaggi, dei drammi, degli umori della sua gente e dei motivi appunto per cui a lui non è permesso fare cinema! Ogni passeggero ci mostra una faccia della multiforme realtà iraniana: c’è il dialogo tra due sconosciuti sulla pena di morte per reati economici, il reduce da un incidente stradale che tutto insanguinato pensa solo al testamento da fare in favore della moglie, altrimenti l’eredità andrà ai fratelli! Ma c’è anche la divertente figura di Omid, lo spacciatore di dvd contraffatti, amico e fornitore dello stesso Panahi, fin dai tempi in cui questo era l’unico modo in Iran per poter vedere i film di Woody Allen (!).
Bellissima la figura della venditrice di rose, vecchia conoscenza di Panahi, un’avvocatessa a cui il regime impedisce di esercitare. Sta andando in carcere a visitare un’amica, la cui colpa è quella di aver assistito ad una partita di volley maschile! Nelle sue parole: “anche se ti liberano, sei sempre guardato a vista, l’intero paese non è altro che un’immensa prigione”.
Ma dove il film raggiunge il suo climax di leggerezza ed efficacia è quando entra nel taxi la nipotina Hana, dieci anni, aspirante regista per un saggio scolastico. Macchina da presa alla mano, vorrebbe riprendere tutto e tutti e tocca allo zio spiegarle cosa è meglio fare o non fare, o meglio cosa è permesso o no filmare in Iran.
Ed ecco le regole dell’iranian film-making: evitare qualsiasi forma di sordid realism, le donne sempre col velo, mai uomini con la cravatta (se non nella parte del cattivo), personaggi positivi sempre con nomi iraniani e via proibendo...
Accolto molto calorosamente dal pubblico,
Taxi, nonostante un inaspettato finale evocatore di violenza, è più divertente, a tratti gradevolissimo, rispetto agli altri due illegal exports di cui Panahi si è reso colpevole: This is Not a Movie e Closed Curtains. Questo film è, oltre che la sofferta testimonianza di Panahi (“io so fare solo questo, lasciatemelo fare”), una grande lezione di cinema: se sai cosa vuoi dire e sai come dirlo, il racconto cinematografico sgorga come acqua di fonte. Non servono grandi star, costosi set, location e budget milionari: bastano due cineprese sul cruscotto di una macchina!
Alla fine non ci sono credits: niente fotografo, costumista, tecnico del suono. Solo lui, il tassista,ci mette la faccia e si assume i rischi.
PS: nell’impossibilità per il vincitore di uscire dal suo paese, l’Orso d’Oro è stato consegnato alla piccola, bravissima, Hana Saeidi in un tripudio di lacrime e applausi.

Giovanni Martini - febbraio 2015 - pubblicato su MCmagazine 37